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Dipendente poco collaborativo: legittimo il licenziamento
Annunziata Staffieri
Con l’ordinanza in epigrafe la Sezione Lavoro della Corte di Cassazione ha arricchito il quadro giurisprudenziale in tema di licenziamento per giustificato motivo soggettivo che com’è noto, avviene per motivi disciplinari e si lega, come precisato dall’art. 3 della legge n.604/66 a “un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore di lavoro”.
Classici esempi di giustificato motivo soggettivo sono:
-la negligenza del lavoratore, come nel caso di mancata e colposa custodia dei beni aziendali affidatigli;
-lo scarso rendimento del dipendente;
-l’assenza dal lavoro, in mancanza di una valida giustificazione, per un numero di giorni, anche non continuativi, superiori a tre nell’arco del biennio;
-falsificazione o divulgazione di dati o di documenti aziendali;
-il mancato rispetto delle direttive del superiore gerarchico, come nel caso di specie.
Nella decisione in commento, i Giudici della nomofilachia, infatti, si sono espressi proprio in merito alla legittimità del licenziamento disciplinare intimato al dipendente di un’azienda informatica, poco collaborativo, che in più occasioni ha disatteso le richieste di aggiornamento professionale fattegli dal superiore gerarchico.
In particolare, due infatti sono gli episodi contestati al dipendente nella lettera di avvio del procedimento disciplinare ex art 7 della legge n.300/70 sufficienti, secondo l’azienda, a legittimare l’espulsione del dipendente dal contesto lavorativo.
Nel primo, il giudice di merito ha appurato che il dipendente, sebbene non fosse impegnato in altre commesse, si è rifiutato senza giustificato motivo di approfondire lo studio di due sistemi operativi, come richiesto dal suo superiore gerarchico, considerato anche che la partecipazione alla formazione non avrebbe comportato spese a carico del dipendente, né tanto meno la necessità di usufruire di permessi o di sacrificare il proprio tempo libero.
Nella seconda occasione, invece, era stato accertato che il lavoratore avesse tenuto una condotta passiva presso un cliente dell’azienda, rifiutandosi di svolgere un’attività di aggiornamento dei sistemi sebbene questi rientrassero nelle sue competenze sistemistiche generali.
Sulla scorta di tali presupposti, i Giudici di Piazza Cavour hanno ritenuto legittimo il licenziamento per giustificato motivo soggettivo intimato dall’azienda, ritenendo che il comportamento tenuto dal lavoratore integrasse gli estremi della grave insubordinazione, disattendendo l’obbligo di diligenza e di esecuzione delle disposizioni impartite dai superiori gerarchici, nel caso in commento riferite alle esigenze di formazione, di aggiornamento e di accrescimento professionale necessario per il l’ottimale impiego del lavoratore.
I giudici di legittimità hanno pertanto ritenuto sussistenti, nel caso di specie, gli elementi che integrano il parametro normativo del giustificato motivo soggettivo, ritenendo proporzionata la misura espulsiva irrogata dall’azienda in ragione del carattere persistente e volontario del comportamento posto in essere dal dipendente rigettando il ricorso proposto dal dipendente stesso, che a seguito di tale recesso, potrà accedere alla NASpI, vale a dire all’indennità di disoccupazione.
Inoltre, a seguito del licenziamento il datore di lavoro sarà tenuto all’esborso del cd “ticket di licenziamento”, introdotto nel nostro ordinamento dalla legge 28 giugno 2012, n.92.
Trattasi, nello specifico di un contributo che a partire dal 1° gennaio 2013 deve essere versato dall’azienda all’INPS in caso di estinzione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato per le causali che darebbero diritto al riconoscimento, almeno potenzialmente, dell’indennità di disoccupazione NASpI, a prescindere dall’effettiva percezione della stessa indennità da parte del dipendente e anche nel caso in cui questi abbia trovato una nuova occupazione.
Il ticket in questione, il cui importo ammonta per il 2023 a 603,10 euro per ogni anno di lavoro effettuato, fino ad un massimo di tre anni, persegue una duplice finalità: da un lato quella di finanziare la NASpI e dall’altro lato di scoraggiare le riduzioni di personale da parte delle aziende.
Come si può notare, il licenziamento per giustificato motivo soggettivo e il licenziamento per giusta causa hanno, pertanto, molti aspetti in comune.
Qual è, allora, la differenza tra “giusta causa” e “giustificato motivo soggettivo”?
La fondamentale differenza tra queste due tipologie di licenziamenti disciplinari riguarda la diversa gravità dell’inadempimento posto in essere dal dipendente.
In particolare, la violazione degli obblighi contrattuali è più o meno grave a seconda che si tratti rispettivamente di licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo.
La differenza tra i due istituti è, pertanto, quantitativa.
Più precisamente, il giustificato motivo soggettivo si caratterizzerebbe, secondo la tesi ormai dominante, per la minore gravità dell’inadempimento, di per sé capace di consentire la prosecuzione del rapporto di lavoro durante il periodo di preavviso.
Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, infatti, “le nozioni di giusta causa e di giustificato motivo soggettivo di licenziamento si distinguono con riguardo non alla consistenza temporale del requisito della immediatezza della contestazione, che invece deve connotare in misura analoga tali nozioni e in genere ogni sanzione disciplinare, ma con riguardo alla maggiore gravità della violazione contrattuale addebitata al dipendente licenziato per giusta causa rispetto a quella della violazione addebitata al dipendente per giustificato motivo soggettivo, la quale deve fondarsi anch’essa su comportamenti di entità tale da poter scuotere la fiducia del datore di lavoro e da ritenere che la comunicazione del rapporto si risolva in un pregiudizio per gli scopi aziendali”.
La principale differenza tra le due tipologie di recesso aziendale riguarda il fatto che in caso di licenziamento per giustificato motivo soggettivo deve essere comunque riconosciuto al dipendente il diritto al preavviso oppure alla relativa indennità sostitutiva, a differenza di quanto avviene invece nel caso di recesso per giusta causa ove l’estinzione del rapporto di lavoro avviene in tronco, senza alcun periodo di preavviso in cui poter proseguire con il rapporto di lavoro.
Sezione: Sezione Semplice
(Cass. Civ., Sez. Lavoro, 09 maggio 2023, n. 12241)
stralcio a cura di Ciro Maria Ruocco
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