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Lottizzazione abusiva: decorso del tempo e affidamento
Noel Libera.
Dopo innumerevoli contrasti dottrinali e giurisprudenziali in ordine alla configurabilità della lottizzazione abusiva, il merito di aver introdotto la prima vera definizione di tale fenomeno spetta all’art. 18 della l. n. 47/1985 e successivamente, più nello specifico, all’art. 30 co. 1 del d.P.R. n. 380/2001 ai sensi del quale si ha lottizzazione abusiva di terreni a scopo edificatorio allorché vengano iniziate opere che comportino la trasformazione urbanistica o edilizia dei terreni stessi in violazione delle prescrizioni degli strumenti urbanistici, vigenti o adottati, o comunque stabilite dalle leggi statali o regionali o senza la prescritta autorizzazione nonché quando tale trasformazione venga predisposta attraverso il frazionamento e la vendita, o atti equivalenti, del terreno in lotti che, per le loro caratteristiche quali la dimensione in relazione alla natura del terreno e alla sua destinazione secondo gli strumenti urbanistici, il numero, l'ubicazione o la eventuale previsione di opere di urbanizzazione ed in rapporto ad elementi riferiti agli acquirenti, denuncino in modo non equivoco la destinazione a scopo edificatorio.
La norma, al quale primo comma seguono altre nove disposizioni, non si è mai prestata a facili letture tanto che l’intervento giurisprudenziale in materia e le conseguenti considerazioni dottrinali son tutt’ora policromi.
Sul punto, infatti, la giurisprudenza amministrativa (Cons. Stato Sez. IV 6 ottobre 2003, n. 5849; Sez. IV 8 gennaio 2016, n. 26; Sez. V 3 agosto 2012 n. 4429) ha dapprima ricordato che il bene giuridico protetto dall’articolo 30 d.P.R. cit. è non solo l’ordinata pianificazione urbanistica e il corretto uso del territorio ma, anche l’effettivo controllo dello stesso da parte del soggetto titolare della funzione di pianificazione – cioè di norma dal comune – al quale spetta di vigilare sul rispetto delle vigenti prescrizioni urbanistiche, con conseguente legittima repressione di qualsiasi intervento di tipo lottizzatorio, non previamente assentito. Parimenti, la dottrina ed anche la giurisprudenza hanno poi distintamente “frazionato” quanto disposto ex art. 30 d.P.R. cit. statuendo che “le opere che comportino trasformazione urbanistica od edilizia dei terreni” costituiscono una fattispecie di “lottizzazione abusiva materiale” in luogo di una “lottizzazione negoziale” per la quale la trasformazione urbanistica dei terreni avviene attraverso il frazionamento degli stessi, la vendita dei suoli o attraverso atti equivalenti alla vendita. Un’altra parte della dottrina ha anche individuato un tertium genus nella c.d. lottizzazione mista che, priva di uno specifico riferimento nell’articolo 30 del T.U.E., si connota della contestuale presenza delle attività materiali e negoziali individuate nelle altre due tipologie di lottizzazione, materiale e negoziale. Sul punto si è espressa anche la VI Sezione del Consiglio di Stato con la sentenza in commento, la quale, a seguito di un’impugnazione avverso una nota con la quale l’Amministrazione comunale aveva comunicato il diniego della concessione in sanatoria, stanti gli innumerevoli episodi di abusivismo edilizio gravanti sulla zona oggetto di interesse, ha poi confutato la circostanza dedotta dall'appellante - secondo cui l'ordinanza sindacale volta per l’appunto a sanzionare la lottizzazione abusiva, non sarebbe mai stata notificata al dante causa degli odierni appellanti - deducendo che tale circostanza non ne comporti affatto la nullità ma porrebbe soltanto l'atto in uno stato di quiescenza sino a quando non venga comunicato al destinatario.
Ciò posto, la mancata impugnazione nei termini di legge dell’ordinanza che, per quanto innanzi esposto, è stata nota alle parti con l’avvenuta comunicazione del preavviso di rigetto, ha reso la stessa inoppugnabile, con conseguente inammissibilità dei motivi che contestano l’esistenza della lottizzazione abusiva. Né appare fondato – come osservato dal Consiglio di Stato - l’argomento secondo il quale il provvedimento di diniego sarebbe illegittimo poiché incentrato sull'esistenza di una fattispecie di lottizzazione abusiva introdotta nel nostro ordinamento solo nel 1985 e, come tale, inapplicabile ai lavori in questione giacché realizzati in epoca anteriore; in verità, al contrario di quanto assunto dal ricorrente, la lottizzazione abusiva è un illecito di natura permanente “soggettivamente trasferibile propter rem e sanzionabile in capo a tutti coloro che siano divenuti titolari dei terreni abusivamente lottizzati e che abbiano goduto di costruzioni eseguite sine titulo su tali terreni, così concorrendo attivamente alla prosecuzione della fattispecie”. Pertanto la condotta antigiuridica, non essendosi esaurita sotto la vigenza della precedente norma incriminatrice ma essendosi al contrario protratta anche oltre l’emanazione della nuova norma incriminatrice, ha inevitabilmente determinato l’applicazione della legge successiva in luogo di quella anteriore, in ossequio al noto principio secondo il quale lex posterior derogat priori. Tanto premesso, neppure meritevole di accoglimento appare la doglianza mossa in ordine alla esistenza di condoni edilizi riguardanti immobili facenti parte dell’urbanizzazione posto che – osserva il Collegio- nel caso di specie le concessioni in sanatoria richiamate dal ricorrente risalirebbero ad un periodo antecedente l’adozione dell’ordinanza sindacale attestante la realizzazione della lottizzazione abusiva e cioè in un tempus nel quale la pubblica amministrazione non aveva ancora contestato ai proprietari degli insediamenti, per non averne acquisito contezza, la stessa lottizzazione abusiva. Del resto, anche attese le predette considerazioni, neppure il principio di affidamento apparirebbe essere stato leso; infatti, costituendo un principio fondamentale dell’azione amministrativa avente origine comunitaria, esso si sostanzia nell’interesse del privato alla tutela di una situazione che si è definita nella realtà giuridica per effetto di atti e comportamenti della Pubblica Amministrazione e che, pertanto, impongono alla stessa P.A. il rispetto delle predette posizioni giuridiche soggettive che si siano già consolidate in capo ai privati. Ma, nel caso de quo, alcuna lesione del principio - con conseguente richiesta risarcitoria – ricorrerebbe, posto che “la mera inerzia da parte dell'amministrazione nell'esercizio di un potere-dovere finalizzato alla tutela di rilevanti finalità di interesse pubblico non è idonea a far divenire legittimo ciò che (l'edificazione sine titulo) è sin dall'origine illegittimo” e parimenti “tale inerzia non può certamente radicare un affidamento di carattere 'legittimo' in capo al proprietario dell'abuso, giammai destinatario di un atto amministrativo favorevole idoneo a ingenerare un'aspettativa giuridicamente qualificata”.
Appare inconcepibile, infatti, che il decorso del tempo e la conseguente inerzia dell’amministrazione possano correlativamente generare una sostanziale perdita del potere volto a contrastare l’abusivismo edilizio ovvero possano legittimare l’edificazione avvenuta sine titulo non ricorrendo – come ben precisato dal massimo grado di giustizia amministrativa – alcuna forma di giustificazione normativa ad una tale sanatoria automatica.
Ciò posto, conclude il Consiglio di Stato, se il decorso del tempo non può incidere sulla doverosità degli atti volti a perseguire l'illecito attraverso l'adozione della relativa sanzione, deve conseguentemente essere escluso che l'ordinanza di demolizione di un immobile abusivo debba essere motivata sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale al ripristino della legalità violata. In tal caso, è del tutto congruo che l'ordine di demolizione sia adeguatamente motivato atteso il richiamo al comprovato carattere abusivo dell'intervento. Al contrario, il decorso del tempo, lungi dal radicare in qualche misura la posizione giuridica dell'interessato, rafforza piuttosto il carattere abusivo dell'intervento stesso.
Sezione: Consiglio di Stato
(Cons. St., sez. VI, 3 giugno 2021, n. 4281)
Stralcio a cura di Davide Gambetta
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