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Commette il reato di maltrattamenti in famiglia il marito che imponga alla moglie uno stile di vita particolarmente avaro causandole uno stato di ansia e frustrazione
Simone Rizzuto
La Sesta Sezione penale della suprema Corte di cassazione, con la sentenza n. 6937, datata 20 ottobre 2022 e depositata in Cancelleria il 19 febbraio 2023, ha avuto modo di tracciare un interessante percorso motivazionale con riguardo a una peculiare ipotesi di maltrattamenti in famiglia.
Nel corso del giudizio di merito, la Corte di appello di Bologna condannava l’imputato alla pena di anni uno e mesi cinque di reclusione per una pluralità di episodi criminosi, ricondotti sotto l’egida normativa degli artt. 572, 582, 585, in relazione all’art. 576, n. 1 e 61, n. 2, c.p.
In particolare, la declaratoria di penale responsabilità dell’imputato, sulla scorta delle risultanze probatorie, traeva scaturigine da una sequela di aggressioni a detrimento della propria moglie convivente, perpetrate anche durante il periodo di separazione di fatto fra i coniugi.
Avverso la pronuncia di condanna, la difesa dell’imputato interponeva ricorso per cassazione, mediante il quale veniva censurata, in primo luogo, la violazione dell’art. 192 c.p.p., con riguardo alla ritenuta configurabilità del delitto di maltrattamenti contro familiari e conviventi. Ad avviso del ricorrente, infatti, l’avversata motivazione «[…] che si adagia su quella di primo grado, non compie un vaglio di attendibilità, alla luce dei criteri di maggior rigore previsti dalla giurisprudenza, della persona offesa dal reato e non esamina adeguatamente i rilievi difensivi che si fondano sulle risultanze della consulenza tecnica di ufficio eseguita nella causa civile per l'affidamento della figlia minore della coppia e "dirompenti" in punto di attendibilità intrinseca della […] sottolineandone l'atteggiamento difensivo (nel corso dell'esame) ai limiti della simulazione nonché sul giudizio espresso dai consulenti "sull'impossibilità di escludere psicopatologie di personalità" e sulla sussistenza di indici che generalmente ravvisabili in soggetti che "possono manifestare risposte aggressive esagerate senza provocazione esplicita" e, infine, dubbi sull'attendibilità che possono riguardare un soggetto nei confronti del quale si è ravvisata "una struttura personologica di tipo isterico o bipolare" […]».
Con il secondo motivo, veniva stigmatizzata l’erronea applicazione della legge penale e il vizio motivazionale, per illogicità o manifesta contraddittorietà, in relazione a due episodi criminosi ripercorsi, nel corso dell’istruzione dibattimentale, dal padre della persona offesa dal reato, mentre con il terzo motivo veniva lamentata la violazione di legge, con vizio di motivazione, in ordine a tre episodi di lesioni asseritamente occorsi alla donna.
L’interposta impugnazione, tuttavia, subiva la reiezione giudiziale in sede di legittimità - con condanna dell’imputato al pagamento delle spese processuali e alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute dalla parte civile - a cagione della ritenuta infondatezza delle doglianze prospettate dal ricorrente nei tre motivi di ricorso.
Più nel dettaglio, i giudici di legittimità, nel corposo e articolato referto motivazionale, tacciano di genericità e manifesta infondatezza i rilievi defensionali relativi ai denunciati vizi di motivazione, con precipuo riguardo all’attendibilità delle propalazioni della persona offesa, alla contradditorietà e alla illogicità della pronuncia resa nel grado di merito. Quest’ultima, infatti, ad avviso degli Ermellini, «risulta completa e articolata», essendosi confrontata, in maniera critica, con tutte le censure difensive, reiterate anche nel grado di legittimità.
Le specifiche modalità di manifestazione del fatto-reato, segnatamente, vengono ritenute del tutto "peculiari", soprattutto in relazione alla imposizione di un regime di «risparmio domestico» capace di vilipendere la dignità, la libertà di autodeterminazione e l’integrità psicofisica della vittima del crimine. Sul punto de quo, i giudici di legittimità pongono l’accento sulla circostanza secondo la quale «La sentenza di primo grado e quella di appello contengono un campionario di comportamenti davvero singolare sulle modalità di risparmio domestico alle quali, peraltro in mancanza di necessità impellenti poiché entrambi i coniugi avevano un lavoro e uno stipendio, l'imputato intendeva sottomettere la persona offesa, come la scelta dei negozi in cui fare la spesa (che potevano essere solo quelli notoriamente a costo contenuto); le caratteristiche dei prodotti (che non potevano essere di marca e dovevano essere prodotti in offerta) sia per la casa che per l'abbigliamento, comportamenti accompagnati da modalità di controllo particolarmente occhiute e afflittive, tanto che la C. era costretta a buttare via gli scontrini; a nascondere gli acquisti; a lasciare la spesa a casa dei genitori; a chiedere alle amiche di dire che le avevano regalato qualcosa che aveva acquistato».
Sempre a parere del collegio giudicante, «Analoghe modalità impositive e costrittive connotavano anche la vita domestica della […] e le più intime e personali cure per la sua persona e la gestione del rapporto con la figlia (la persona offesa ha riferito che era costretta ad utilizzare solo due strappi di carta igienica; a recuperare, per il successivo reimpiego, in una bacinella l'acqua utilizzata per lavarsi il viso o per fare la doccia, che poteva fare solo una volta a settimana; ad utilizzare solo una posata e un piatto per pasto)».
Tale regime di vita, dotato di rilievo penale ex art. 572 c.p., veniva a essere accompagnato da frasi del tipo «…tu sei nessuna…tu sei un’insicura…il tuo lavoro lo sanno fare tutti» ed epiteti ingiuriosi («sprecona») dell’imputato all’indirizzo della propria consorte, oltre che da vere e proprie aggressioni fisiche, come spintoni e strattonamenti; in alcune circostanze, inoltre, a titolo meramente esemplificativo, l’uomo pizzicava, in maniera violenta, le guance della moglie, urlandole contro.
Rebus sic stantibus, la motivazione rassegnata dalla Corte di appello di Bologna viene ritenuta, da parte del Consesso di legittimità, «lineare e logica», in ragione di un «quadro probatorio asseverante l'abitualità delle condotte maltrattanti dell'imputato che si è risolta in comportamenti impositivi e inutilmente vessatori e mortificanti, protrattisi per anni e funzionali alla costruzione di un sistema di vita domestico, inizialmente tollerato dalla persona offesa - che ha precisato di avere già scoperto tali atteggiamenti durante la convivenza ma che aveva ritenuto potessero attenuarsi nel tempo - e che, invece, con il matrimonio e la nascita della bambina si erano aggravati tanto che avevano finito, e questo le aveva dato la spinta per la separazione, con il riguardare anche il rapporto della […]) con la figlia che, secondo il ricorrente, non doveva mostrare verso la bambina comportamenti e parole troppo dolci e affettuosi (non poteva, ad es. chiamarla amore) che l'avrebbero resa insicura chiamandola invece, cozza o vongola».
I comportamenti posti in essere dall’imputato, dunque, sotto il profilo sia oggettivo che soggettivo, integrano gli estermi del delitto previsto e punito dall’art. 572 della codificazione di diritto penale sostanziale, in ragione della serialità della condotta vessatoria e della marcata carica offensiva della stessa, in grado di pregiudicare tanto la libertà di autodeterminazione della persona offesa, quanto la dignità e l’integrità psicosifica della stessa.
Il reato di maltrattamenti contro familiari e conviventi, alla luce della ermeneusi giudiziale connotante il caso di specie, può essere integrato anche da condotte abituali del tutto peculiari ed eterogenee, incapaci di lasciare segni visibili sul corpo della vittima, ma in grado di arrecare un vulnus ai beni-interessi normativamente preservati.
L’avarizia, in conclusione, oltre a rappresentare il più classico dei vizi capitali, può assumere rilevanza e significato penale, ex art. 572 c.p., allorché si traduca in un regime di vita vessatorio e avvilente per il membro della famiglia, intesa in senso lato e atipico. Dal punto di vista fenomenico, infatti, un contegno criminoso di tal fatta può essere realizzato nell’ambito di qualsiasi consorzio di persone (famiglia legittima o di fatto), contrassegnato dall’affectio coniugalis e da un legame stabile e duraturo nel tempo fra i partners.
Sezione: Sezione Semplice
(Cass. Pen., Sez. VI, 17 febbraio 2023, n. 6937)
Stralcio a cura di Lorenzo Litterio
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