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La natura definitiva o non definitiva di una sentenza si ricava dagli indici di carattere formale desumibili dal contenuto intrinseco della stessa sentenza

Serena Cosentino

 

 

 

La questione rimessa all’esame delle Sezioni Unite della Cassazione, nella sentenza in commento, “riguarda la verifica dei criteri ai quali ricorrere per pervenire alla corretta individuazione della natura definitiva o meno della sentenza, ai fini del regime di impugnazione applicabile e della possibilità per la parte di proporre impugnazione differita”. In particolare, nel caso di specie, il giudice aveva qualificato la sentenza come non definitiva pur liquidato le spese di lite, determinando con detta qualifica l’affidamento della parte che aveva regolato di conseguenza la propria attività processuale.

L’art. 277 c.p.c. fissa, infatti, il principio della sentenza unica su tutte le domande ed eccezioni, ammettendo, tuttavia, in deroga a tele regola, che il giudice “può limitare la decisione ad alcune domande, se riconosce che per esse soltanto non sia necessaria una ulteriore istruzione, e se la loro sollecita definizione è di interesse apprezzabile per la parte che ne ha fatto istanza”.

Applicazione di detta deroga sono gli artt. 278 c.p.c. (condanna generica) e 279 c. 2 n. 4 c.p.c. (il giudice non definisce il giudizio ma risolve questioni attinenti la giurisdizione, questioni pregiudiziali attinenti al processo o questioni preliminari di merito). Contro le sentenze previste dall'articolo 278 e dall’art. 279 c. 2 n. 4 l’impugnazione può essere differita mediante l’esercizio, ad opera della parte soccombente, della riserva d’appello da esercitare entro il termine per appellare e, in ogni caso, non oltre la prima udienza dinanzi al giudice istruttore successiva alla comunicazione della sentenza stessa (art. 340 c.p.c.).

La legge n. 581/1950, modificando l’impianto originario del codice di procedura civile, ha reso facoltativa la riserva di gravame permettendo l’impugnazione immediata, prima esclusa, e ha determinato così la necessità di distinzione fra sentenze definitive non definitive.

Fino agli anni novanta la giurisprudenza di legittimità non aveva assunto un orientamento uniforme sull’identificazione della natura definitiva o meno delle sentenze che decidono solo alcune delle domande cumulate essendosi formati essenzialmente due filoni. Il primo, c.d. sostanzialista, riteneva necessario al fine della qualificazione della sentenza come definitiva o no, indagare sul contenuto della sentenza, verificando, in particolare, se con la stessa fosse stato esaurito l’intero rapporto processuale. Il secondo filone, c.d. formalista, riteneva invece che la valutazione della definitività o meno della sentenza si sarebbe dovuta ricavare dall’omessa o intervenuta adozione di un provvedimento formale di separazione delle cause connesse, ai sensi dell’art. 279 c.p.c., comma 2, n. 5.

Le Sezioni Unite della Cassazione si sono pronunciate più volte a favore della tesi formalista: con la sentenza del 1 marzo 1990, n. 1577; con due sentenze dell’8 ottobre 1999, nn. 711 e 712 e, più di recente, con la sentenza del 28 aprile 2011 n. 9441.

L’evoluzione giurisprudenziale è giunta ad enucleare i seguenti punti fermi:

“a) allorquando si sia generato, fra le stesse parti, un cumulo oggettivo di cause (ai sensi degli artt. 104, 36 in dipendenza della proposizione di domanda riconvenzionale, 34 in virtu’ della formulazione di domanda di accertamento incidentale o per legge, per effetto di riunione dei processi ex artt. 40 e/o 274 c.p.c.), si configurerà la possibilità di scegliere fra la pronuncia di una sentenza non definitiva su una singola domanda e la pronuncia di una sentenza definitiva parziale, ricadendosi nella seconda ipotesi solo allorché la separazione sia esplicitamente statuita dal giudice nella pronuncia della sentenza, oppure allorché la sua intenzione di separare la causa non decisa e di farne l’oggetto di un residuo ma distinto rapporto processuale, sia resa palese dall’avvenuta disciplina delle spese in ordine all’esito della controversia già decisa;

  1. b) allorquando si tratti, invece, di un cumulo litisconsortile di cause (insorto ai sensi degli artt. 103 o 105, comma 1, o art. 40 e/o 274 ovvero, per effetto di chiamata in causa di terzi, ex artt. 106 e, entro certi limiti, 107 c.p.c.), consegue che ogni sentenza, che definisca integralmente la pendenza delle controversie che concernano uno dei litisconsorti facoltativi attivi o passivi, od anche uno degli intervenienti o uno dei chiamati in causa, dovrà considerarsi sentenza definitiva e contenere, perciò, la pronuncia sulle spese e, per quanto possibile, un’espressa statuizione di separazione delle restanti cause relative solo agli altri litisconsorti facoltativi;
  2. c) nel caso in cui si versi in una ipotesi di cumulo solo oggettivo di due cause fra le stesse parti e le cause stesse non presentino alcun nesso di condizionamento o di subordinazione o di pregiudizialità e possano, quindi, dar luogo alla pronuncia di una sentenza parziale definitiva con separazione dell’altra causa ancora non matura per la decisione, bisogna ritenere che operi pienamente la disciplina della scelta fra l’impugnazione immediata e la riserva di impugnazione differita.” (Corte di Cassazione, sentenza n. 6993 del 25.3.2011).

Le Sezioni Unite della Cassazione confermano detti principi evidenziando come il criterio formale di qualificazione della sentenza risponde ad un criterio di assoluta chiarezza ed è l’unico idoneo a tutelare l’affidamento della parte che, ricorrendone le condizioni, si vede attribuita la facoltà di proporre la riserva di gravame.

Gli indicatori formali che assumono rilevanza ai fini della qualifica della sentenza sono intrinseci nella sentenza ed immediatamente percepibili e sono individuati dalla giurisprudenza nel provvedimento di separazione delle cause e nella condanna alle spese. Assume, inoltre, rilievo l’espressa qualificazione della sentenza come definitiva o non definitiva che ne fa il giudice.

Nel caso oggetto della controversia, tuttavia, sussisteva una qualificazione della sentenza dissonante rispetto agli altri indici formali, in quanto la pronuncia era stata qualificata come non definitiva dall’estensore ma nella stessa erano state liquidate le spese di lite.

Ritengono le Sezioni Unite che tale anomalia sia occasione per verificare la tenuta del criterio formale anche alla luce dell’elaborazione “dottrinale e giurisprudenziale che attribuisce rilevanza al diritto impugnazione quale fondamentale del diritto all’azione”.

Il diritto di difesa in ogni stato e grado del giudizio è, infatti, principio cardine dell’ordinamento sancito dagli artt. 24 e 111 della Costituzione e dalle fonti internazionali: art. 47 della Carta di Nizza, art. 19 del Trattato sull’Unione Europea, art. 6 Carta Europea dei Diritti dell’Uomo. L’applicazione sostanziale di tale principio impone di tutare l’affidamento della parte processuale e, a fronte di una espressa qualificazione della sentenza come non definitiva, garantire il diritto a proporre appello mediante riserva anche nel caso in cui siano state liquidate le spese di lite.

Al fine di garantire una tutela giurisdizionale effettiva, allora, “non resta che privilegiare, in presenza di contrasto irriducibile fra indici formali di segno opposto intrinseci al provvedimento giurisdizionale che si traduca in una irrisolvibile ambiguità per la parte soccombente, la soluzione che consenta alla stessa l’esercizio nel caso concreto del potere di impugnazione, altrimenti irrimediabilmente compromesso, riconoscendo l’ammissibilità dell’appello proposto mediante riserva”.

Le Sezioni Unite hanno, pertanto, fissato il seguente principio di diritto: “Ai fini dell'individuazione della natura definitiva o non definitiva di una sentenza che abbia deciso su una delle domande cumulativamente proposte tra le stesse parti, deve aversi riguardo agli indici di carattere formale desumibili dal contenuto intrinseco della stessa sentenza, quali la separazione della causa e la liquidazione delle spese di lite in relazione alla causa decisa.

Tuttavia, qualora il giudice, con la pronuncia intervenuta su una delle domande cumulativamente proposte, abbia liquidato le spese e disposto per il prosieguo del giudizio in relazione alle altre domande, al contempo qualificando come non definitiva la sentenza emessa, in ragione dell'ambiguità derivante dall'irriducibile contrasto tra indici di carattere formale che siffatta qualificazione determina e al fine di non comprimere il pieno esercizio del diritto di impugnazione, deve ritenersi ammissibile l'appello in concreto proposto mediante riserva".

Argomento: Procedura civile
Sezione: Sezioni Unite

(Cass. Civ., SS.UU., 19 aprile 2021, n. 10242)

stralcio a cura di Eleonora Branno

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(…) "Ai fini dell'individuazione della natura definitiva o non definitiva di una sentenza che abbia deciso su una delle domande cumulativamente proposte tra le stesse parti, deve aversi riguardo agli indici di carattere formale desumibili dal contenuto intrinseco della stessa sentenza, quali la separazione della causa e la liquidazione delle spese di lite in relazione alla causa decisa. Tuttavia, qualora il giudice, con la pronuncia intervenuta su una delle domande cumulativamente proposte, abbia liquidato le spese e disposto per il prosieguo del giudizio in relazione alle altre domande, al contempo qualificando come non definitiva la sentenza emessa, in ragione dell'ambiguità derivante dall'irriducibile contrasto tra indici di carattere formale che siffatta qualificazione determina e al fine di non comprimere il pieno esercizio del diritto di impugnazione, deve ritenersi ammissibile l'appello in concreto proposto mediante riserva". (…)

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