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Le SS.UU. sulla natura della recidiva, anche ai fini della procedibilità d´ufficio per alcuni reati contro il patrimonio
Angela Micheletti
Con la sentenza in commento, le Sezioni Unite Penali hanno annullato la sentenza impugnata, rinviando per un nuovo giudizio alla Corte di Appello ed enunciando il seguente principio di diritto: “il riferimento alle aggravanti ad effetto speciale contenuto nell’art. 649-bis, cod. pen., ai fini della procedibilità d’ufficio, per i delitti menzionati nello stesso articolo, comprende anche la recidiva qualificata – aggravata, pluriaggravata e reiterata – di cui all’art. 99, secondo, terzo e quarto comma cod. pen.”
La Seconda Sezione Penale, cui il ricorso era stato assegnato, lo ha rimesso alle Sezioni Unite con ordinanza del 14 gennaio 2020, ravvisando la sussistenza di un contrasto sull’interpretazione dell’art. 649-bis c.p. e sulla riconducibilità della recidiva qualificata (art. 99, commi 2, 3 e 4, c.p.) alla categoria delle aggravanti ad effetto speciale che rendono procedibili d’ufficio alcuni reati contro il patrimonio (art. 640, comma 3, c.p.; art. 640-ter, comma 4, c.p.; fatti di cui all’art. 646, comma 2, c.p., o aggravati dalle circostanze di cui all’art. 61, comma 1, n. 11, c.p.).
Il caso trae origine da una vicenda riguardante un agente di commercio, rinviato a giudizio per essersi appropriato di merce di campionario di proprietà della società per la quale lavorava e successivamente assolto dal reato di appropriazione indebita aggravata di cui agli artt. 646, 61 n. 11, 99, comma 2, n. 1 e 2 e comma 4, c.p., in quanto il giudice di prime cure aveva ritenuto il reato estinto per remissione di querela. La Procura della Repubblica, tuttavia, aveva deciso di proporre immediato ricorso per Cassazione, lamentando l’erronea applicazione degli art. 646 e 649-bis. c.p. Quest’ultimo articolo, in particolare, è stato introdotto dalla riforma operata con il decreto legislativo n. 36/2018, che ha previsto delle innovazioni in materia di perseguibilità, disponendo la procedibilità a querela di una serie di reati, tra i quali anche l’appropriazione indebita. Tale riforma, tuttavia, ha anche inserito nel corpo del codice penale l’art. 649-bis, che prevede la procedibilità d’ufficio nei casi di appropriazione indebita aggravata dalla circostanza del fatto commesso su cose possedute a titolo di deposito necessario o da una delle circostanze indicate nell’art. 61 c.p., comma 1, n. 11, c.p., qualora ricorrano circostanze aggravanti ad effetto speciale.
Occorre, dunque, domandarsi se la recidiva “qualificata” possa essere ricompresa tra le circostanze aggravanti ad effetto speciale.
Secondo un primo indirizzo, fatto proprio dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 3152/1987, Paolini, la recidiva costituisce una circostanza aggravante sui generis, che assume rilievo solo quando viene presa in considerazione la misura della pena, non producendo invece nessun effetto sulla gravità del fatto-reato, alla quale rimane estranea. Secondo il Supremo Consesso “la recidiva qualifica il soggetto, ma resta del tutto estranea alla fattispecie legale, comunque circostanziata, del reato. Essa, infatti, a differenza di altre condizioni personali che incidono sulla tipicità del reato (ad esempio: la qualifica di un pubblico ufficiale per i reati di concussione, abuso innominato di ufficio, ecc.), incide esclusivamente sulla quantità della pena da infliggere in concreto, alla stessa stregua delle condizioni economiche previste dall’art. 133-bis c.p.”.
Tale pronuncia riguarda la versione dell’art. 640 c.p. introdotta dall’art. 98 della legge 689/1981, che aveva inserito il seguente comma: « Il delitto è punibile a querela della persona offesa, salvo che ricorra taluna delle circostanze previste dal capoverso precedente o un’altra circostanza aggravante ».
La sentenza Paolini individua la ratio della perseguibilità a querela del reato di truffa nella rilevanza degli aspetti civilistici sottesi a tale reato, che, tuttavia, non possono prevalere sugli interessi pubblicistici nel caso in cui ricorra una circostanza aggravante. L’equiparazione tra la circostanza aggravante di cui all’art. 640, secondo comma, c.p. e le altre circostanze aggravanti, “deve far ritenere che il legislatore abbia voluto includere solo le circostanze che, come quelle previste dal capoverso dell’art. 640, incidono sulla quantità del fatto, ritenendo per contro, indifferente la misura della pena derivante dall’applicazione delle circostanze stesse”. Secondo le Sezioni Unite, dunque, la recidiva non è ricompresa nelle circostanze aggravanti che rendono il reato di truffa perseguibile d’ufficio.
Secondo un altro e più recente indirizzo, invece, la contestazione della recidiva reiterata, quale circostanza aggravante ad effetto speciale, determina la procedibilità d’ufficio del reato di appropriazione indebita e di truffa.
In particolare le Sezioni Unite con la sentenza n. 35738/2010, Calibè, hanno stabilito che, in caso di contestazione della recidiva ai sensi di uno dei primi quattro commi dell’art. 99 c.p., il giudice debba verificare in concreto se la reiterazione dell’illecito sia indice effettivo di riprovevolezza della condotta e di pericolosità del suo autore, potendo solo in quest’ultimo caso la recidiva produrre a pieno tutti i suoi effetti. Con la successiva pronuncia n. 20798/2011, Indelicato, le Sezioni Unite hanno considerato la recidiva qualificata quale circostanza aggravante ad effetto speciale, in quanto i commi 2, 3 e 4 dell’art. 99 c.p. prevedono un aumento di pena superiore ad un terzo. Tale sentenza ha, inoltre, smentito la rappresentazione dell’istituto della recidiva quale mero status formale del soggetto, stante la necessità che il giudice proceda non solo alla verifica della sussistenza del presupposto formale desumibile dai precedenti penali, ma anche al riscontro sostanziale della più accentuata colpevolezza e della maggiore pericolosità del reo. Le Sezioni Unite Indelicato, pertanto, hanno superato definitivamente l’orientamento fatto proprio dalle Sezioni Unite Paolini, in base al quale la recidiva rappresenterebbe uno status personale del soggetto svincolato dal fatto di reato, dovendo il nuovo illecito commesso dal reo essere concretamente espressivo di una maggiore colpevolezza e di una maggiore pericolosità dell’autore.
Il Supremo Consesso, dopo aver esaminato i due suindicati filoni giurisprudenziali, osserva che l’art. 649-bis c.p., al fine di rendere alcuni reati procedibili d’ufficio, conferisce rilievo alle “circostanze aggravanti ad effetto speciale”. In base all’art. 12 delle disposizioni sulla legge in generale, le norme di legge andrebbero interpretate non attribuendo ad esse altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la loro connessione e l’intenzione del legislatore. Rappresenta, dunque, un dato pacifico che la recidiva sia una circostanza aggravante del reato inerente alla persona del colpevole, che non differisce, nelle sue modalità applicative, dalle altre circostanze del reato e che, nell’ipotesi di recidiva qualificata, essa vada ricompresa tra le circostanze aggravanti ad effetto speciale. Ciò determina che qualora il giudice accerti la sua sussistenza, non solo sulla base del requisito formale della previa condanna, ma anche del presupposto sostanziale della maggiore colpevolezza del reo e della sua più elevata capacità a delinquere, possa sottoporre la stessa, data la sua natura di aggravante, al giudizio di bilanciamento tra circostanze attenuanti ed aggravanti disciplinato dall’art. 69 c.p. Tuttavia, l’eventuale giudizio di equivalenza o di sub-valenza della recidiva non elide la sua esistenza e gli effetti da essa prodotti con riferimento al regime di procedibilità e non rende il reato perseguibile a querela di parte, ove questa sia prevista per l’ipotesi non circostanziata.
Le Sezioni Unite procedono poi ad esaminare alcune obiezioni sollevate dalla dottrina. In primo luogo quella per la quale la recidiva, pur avendo natura circostanziale, non potrebbe incidere sul regime di procedibilità, dovendo le deroghe all’obbligatorietà dell’azione penale fondarsi su dati certi e di tempestiva riscontrabilità, mentre la sussistenza della recidiva sarebbe accertabile solo in una fase avanzata del processo, con il conseguente rischio di introdurre una procedibilità d’ufficio “provvisoria” e sub iudice. In caso di valutazione giudiziale negativa, l’esito del processo, ormai pressoché ultimato, sarebbe dunque quello di “non doversi procedere” per mancanza della condizione di procedibilità, con conseguente frustrazione delle esigenze di deflazione dei carichi processuali. La seconda obiezione riscontrata è quella per la quale un effetto potenzialmente pregiudizievole per il reo, come la procedibilità d’ufficio, non può farsi dipendere dalla previa contestazione del solo presupposto formale della precedente condanna.
La Corte, con riguardo alla frustrazione delle finalità deflattive, ricorda che l’art. 11 del decreto legislativo n. 36/2018 prevede la conservazione della procedibilità d’ufficio per i reati contro il patrimonio oggetto della riforma, nei casi in cui ricorrano circostanze aggravanti ad effetto speciale, tra le quali rientra senza dubbio la recidiva qualificata. Il Supremo Consesso evidenzia, inoltre, che la provvisoria contestazione, su base meramente formale, destinata eventualmente in seguito a venire meno in virtù della valutazione del giudice, è una questione che riguarda non solo la recidiva, ma tutte le circostanze aggravanti che incidono sulla procedibilità, trovando tali situazioni una risposta fisiologica in sede processuale nel disposto dell’art. 129 c.p.p.
La Corte affronta, infine, il tema della possibilità che la procedibilità del reato si ripercuota sulla posizione degli altri correi, i quali si troverebbero soggetti ad un diverso regime di procedibilità per un fattore a loro completamente estraneo; a ciò soccorre la nuova formulazione dell’art. 118 del c.p., che prevede che le circostanze inerenti la persona del colpevole siano valutate soltanto con riguardo alla persona a cui si riferiscono. Di conseguenza, la procedibilità d’ufficio riguarderebbe solamente quei compartecipi qualificati come “recidivi” e non anche gli altri. Peraltro, questo modus operandi non appare estraneo al sistema penale, basti pensare all’ipotesi regolata dall’art. 649 c.p., comma 2, c.p.
Le Sezioni Unite concludono, dunque, affermando che “il riconoscimento giudiziale, con specifica motivazione, della sussistenza di una circostanza aggravante ad effetto speciale quale la recidiva qualificata, determina la procedibilità d’ufficio per i reati indicati nell’art. 649-bis cod. pen.”.
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