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Delineato il nuovo volto costituzionalmente orientato del delitto di diffamazione?

Daniela Mazzotta

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“(…) La motivazione di entrambe le ordinanze è imperniata su ampi richiami alla giurisprudenza della Corte EDU in materia di libertà di espressione, tutelata dall’art. 10 CEDU e ritenuta di regola violata laddove vengano applicate pene detentive a giornalisti condannati per diffamazione. 6.1.– Tale giurisprudenza risale, in effetti, almeno alla sentenza della grande camera 17 dicembre 2004, Cumpănă e Mazăre contro Romania, nella quale la Corte EDU ha esaminato il ricorso di due giornalisti, condannati per diffamazione in quanto autori di un articolo nel quale accusavano un giudice di essere coinvolto in fatti di corruzione. La Corte EDU ha riconosciuto la legittimità dell’affermazione di responsabilità penale degli imputati, osservando che le gravi accuse rivolte alla vittima fornissero una visione distorta dei fatti e fossero prive di adeguati riscontri fattuali (paragrafo 103); ma ha al contempo ritenuto che l’imposizione nei loro confronti di una pena di sette mesi di reclusione non sospesa, ancorché in concreto non eseguita per effetto di un provvedimento di grazia presidenziale, costituisse una interferenza sproporzionata – e pertanto «non necessaria in una società democratica» ai sensi dell’art. 10, paragrafo 2, CEDU – con il loro diritto alla libertà di espressione, tutelata dal paragrafo 1 del medesimo art. 10 CEDU. Nella pronuncia indicata, la Corte EDU ha ricordato in proposito (paragrafo 93) il proprio insegnamento secondo cui la stampa svolge l’essenziale ruolo di «cane da guardia» della democrazia (sentenza 27 marzo 1996, Goodwin contro Regno Unito, paragrafo 39), rilevando che «se è vero che gli Stati parte hanno la facoltà, o addirittura il dovere, in forza dei loro obblighi positivi di tutela dell’art. 8 CEDU, di disciplinare l’esercizio della libertà di espressione in modo da assicurare per legge un’adeguata tutela della reputazione delle persone, non devono però farlo in una maniera che indebitamente dissuada i media dallo svolgimento del loro ruolo di segnalare all’opinione pubblica casi apparenti o supposti di abuso dei pubblici poteri» (paragrafo 113). Il timore di sanzioni detentive produce, secondo la Corte di Strasburgo, un evidente effetto dissuasivo («chilling effect») rispetto all’esercizio della [continua ..]

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Nota di Daniela Mazzotta

Con l’ordinanza in commento, la Corte Costituzionale si è pronunciata, seppur in via interlocutoria, sulla legittimità costituzionale degli artt. 595 c. 3 c.p. e 13 della L. 8 febbraio 1948 n. 47 (“Disposizioni sulla stampa”), in riferimento agli artt. 3, 21, 25, 27 e 117 c. 1 Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 10 CEDU, così come interpretato dalla giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Giova rammentare che nel nostro ordinamento la diffamazione a mezzo stampa, fattispecie aggravata del delitto di diffamazione di cui all’art. 595 c.p., viene sanzionata con la pena detentiva, la cui comminatoria è alternativa rispetto a quella pecuniaria, ai sensi del c. 3 della citata disposizione (reclusione da sei mesi a tre anni o la multa non inferiore a 516 euro); mentre è cumulativa ai sensi dell’art. 13 della L. 8 febbraio 1948 n. 47, nei casi in cui la condotta diffamatoria consista nell’attribuzione di un fatto determinato, punita con reclusione da uno a sei anni e con la corresponsione di una multa non inferiore a cinquecentomila lire (258 euro). Dette pene, invero, vengono inflitte a condizione che la condotta non sia scriminata ex art. 51 c.p., dall’esercizio, da parte del giornalista, dei diritti di cronaca e di critica, protetti dagli artt. 21 Cost. e 10 CEDU, nel rispetto dei limiti della verità dei fatti, della pertinenza o interesse pubblico alla loro diffusione e della continenza delle espressioni adoperate. Ciò detto, le questioni sollevate dai Tribunali di Salerno e Bari muovono censure pressoché analoghe e sono state oggetto di trattazione unitaria ai fini della decisione. In estrema sintesi, entrambi i giudici rimettenti lamentano la previsione della pena della reclusione per l’appena descritta fattispecie delittuosa, ritenendo un siffatto trattamento sanzionatorio manifestamente irragionevole e sproporzionato rispetto alla libertà di manifestazione del pensiero, salvo casi eccezionali nei quali la stessa Corte EDU riconosca come legittima e idonea l’applicazione di tale pena. A sostegno delle proprie argomentazioni, le ordinanze dei giudici a quo richiamano copiose pronunce della Corte di Strasburgo in materia di libertà di espressione, e in particolare la nota sentenza Cumpănă e Mazăre c. Romania, relativa alla condanna per diffamazione di due giornalisti che [continua ..]

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