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Delineato il nuovo volto costituzionalmente orientato del delitto di diffamazione?
Daniela Mazzotta
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Nota di Daniela Mazzotta
Con l’ordinanza in commento, la Corte Costituzionale si è pronunciata, seppur in via interlocutoria, sulla legittimità costituzionale degli artt. 595 c. 3 c.p. e 13 della L. 8 febbraio 1948 n. 47 (“Disposizioni sulla stampa”), in riferimento agli artt. 3, 21, 25, 27 e 117 c. 1 Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 10 CEDU, così come interpretato dalla giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Giova rammentare che nel nostro ordinamento la diffamazione a mezzo stampa, fattispecie aggravata del delitto di diffamazione di cui all’art. 595 c.p., viene sanzionata con la pena detentiva, la cui comminatoria è alternativa rispetto a quella pecuniaria, ai sensi del c. 3 della citata disposizione (reclusione da sei mesi a tre anni o la multa non inferiore a 516 euro); mentre è cumulativa ai sensi dell’art. 13 della L. 8 febbraio 1948 n. 47, nei casi in cui la condotta diffamatoria consista nell’attribuzione di un fatto determinato, punita con reclusione da uno a sei anni e con la corresponsione di una multa non inferiore a cinquecentomila lire (258 euro). Dette pene, invero, vengono inflitte a condizione che la condotta non sia scriminata ex art. 51 c.p., dall’esercizio, da parte del giornalista, dei diritti di cronaca e di critica, protetti dagli artt. 21 Cost. e 10 CEDU, nel rispetto dei limiti della verità dei fatti, della pertinenza o interesse pubblico alla loro diffusione e della continenza delle espressioni adoperate. Ciò detto, le questioni sollevate dai Tribunali di Salerno e Bari muovono censure pressoché analoghe e sono state oggetto di trattazione unitaria ai fini della decisione. In estrema sintesi, entrambi i giudici rimettenti lamentano la previsione della pena della reclusione per l’appena descritta fattispecie delittuosa, ritenendo un siffatto trattamento sanzionatorio manifestamente irragionevole e sproporzionato rispetto alla libertà di manifestazione del pensiero, salvo casi eccezionali nei quali la stessa Corte EDU riconosca come legittima e idonea l’applicazione di tale pena. A sostegno delle proprie argomentazioni, le ordinanze dei giudici a quo richiamano copiose pronunce della Corte di Strasburgo in materia di libertà di espressione, e in particolare la nota sentenza Cumpănă e Mazăre c. Romania, relativa alla condanna per diffamazione di due giornalisti che [continua ..]