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L´oscurità della norma è censurabile per irragionevolezza non solo in caso di materia penale, ma in tutte le disposizioni che regolano la generalità dei rapporti tra pubblica amministrazione e cittadini

Chiara Mattei

La Corte Costituzionale con sentenza n.110 del 5 giugno 2023 ha stabilito che ogni norma “radicalmente oscura” viola per ciò stesso il canone di ragionevolezza sancito dall’articolo 3 della Costituzione, quale principio generale dell’ordinamento.

Il giudice delle leggi ha accolto il ricorso con cui la Presidenza del Consiglio dei Ministri censurava l’illegittimità costituzionale di alcune disposizioni della legge di stabilità 2022 della Regione Molise.

In primo luogo, la Corte ha ritenuto fondata la censura inerente l’articolo 4 della legge regionale, il quale prevedeva da parte della Regione un sostanziale accollo dei debiti di una società partecipata in liquidazione - della quale essa era socio unico - ponendosi così in aperto contrasto con l’articolo 81 della Costituzione e con il divieto di soccorso finanziario, in relazione all’articolo 14 TUSP (Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica). La Corte ha specificato che tale divieto ha la funzione, da un lato, di tutelare la libera concorrenza tra le imprese, e dall’altro di evitare che gli enti pubblici realizzino interventi finanziari “a fondo perduto” in favore di società a partecipazione pubblica in condizioni di dissesto. L’unica eccezione sussiste nel caso in cui l’ente pubblico sia in grado di dimostrare l’esistenza di un interesse pubblico tale da giustificare l’operazione finanziaria e, a dire della Corte, ciò non è avvenuto nel caso di specie, non avendo la Regione addotto alcuna idonea ragione giustificatrice, e, dunque, la norma in parola deve ritenersi illegittima.

Parimenti illegittimi sono stati dichiarati i commi da 5 a 14 dell’art.7 della medesima legge per contrasto con l’esigenza di chiarezza e solidità del bilancio imposta dall’articolo 81 Cost. Con tali disposizioni la Regione, istituendo la Scuola Regionale di Protezione civile, introduceva nuovi e maggiori oneri finanziari non quantificati, senza indicarne le relative coperture nel bilancio regionale. La Corte ha richiamato la propria giurisprudenza in materia per cui “(le) leggi istitutive di nuove spese devono contenere una esplicita indicazione del relativo mezzo di copertura e che a tale regola non sfuggono le leggi regionali”.

Di particolare rilievo è poi l’accoglimento della censura di illegittimità relativa al comma 18 dell’articolo 7 della l. reg. Molise n.8/2022, con il quale la Regione pareva consentire nuovi interventi edilizi in deroga a piani esistenti, così disponendo: “[n]elle fasce di rispetto di tutte le zone e di tutte le aree di piano, in presenza di opere già realizzate e ubicate tra l’elemento da tutelare e l’intervento da realizzare, quest’ultimo è ammissibile previa V. A. per il tematismo che ha prodotto la fascia di rispetto, purché lo stesso intervento non ecceda, in proiezione ortogonale, le dimensioni delle opere preesistenti o sia compreso in un’area circoscritta nel raggio di mt. 50 dal baricentro di insediamenti consolidati preesistenti». La Corte ha rilevato la radicale inintellegibilità delle espressioni utilizzate, che risultavano vaghe e suscettibili di molteplici interpretazioni, mancando altresì di ogni riferimento al contesto normativo in cui intendevano inserirsi, e l’oscurità della disposizione non era superata neppure a seguito dei chiarimenti intervenuti da parte della Regione.

La Consulta, ribadendo il carattere fondamentale del controllo di chiarezza e precisione delle norme incriminatrici in materia penale, alla luce dei propri precedenti, ha stabilito che disposizioni irrimediabilmente oscure “foriere di incertezza nella loro applicazione concreta si pongono in contrasto con l’articolo 3 Cost”. Non solo in materia penale, ma in tutti i rami dell’ordinamento, sussiste da parte dei consociati una legittima e ovvia aspettativa a che la legge sia intellegibile e consenta di prevederne l’ambito di applicazione, così da potersi liberamente autodeterminare. Secondo la Corte: “Una norma radicalmente oscura, d’altra parte, vincola in maniera soltanto apparente il potere amministrativo e giudiziario, in violazione del principio di legalità e della stessa separazione dei poteri, e crea inevitabilmente le condizioni per una applicazione diseguale della legge, inviolazione del principio di parità di trattamento tra i consociati, che costituisce il cuore della garanzia consacrata nell’articolo 3 Cost”. Ciò, precisa la Corte, non toglie che si possa e debba ricorrere a clausole generali o programmatiche, o utilizzare concetti tecnici di difficile comprensione.

La sentenza fa poi espresso richiamo sul punto alla giurisprudenza costituzionale francese, per cui l’accessibilità e intellegibilità della legge costituiscono principi di rango costituzionale, e tedesca, che prevede un mandato costituzionale di precisione e chiarezza normativa.  In definitiva per i giudici costituzionali: “Una disposizione siffatta, in ragione dell’indeterminatezza dei suoi presupposti applicativi, non rimediabile tramite gli strumenti dell’interpretazione, non fornisce alcun affidabile criterio guida alla pubblica amministrazione nella valutazione se assentire o meno un dato intervento richiesto dal privato, in contrasto con il principio di legalità dell’azione amministrativa e con esigenze minime di eguaglianza di trattamento tra i consociati; e rende arduo al privato lo stesso esercizio del proprio diritto di difesa in giudizio contro l’eventuale provvedimento negativo della pubblica amministrazione, proprio in ragione dell’indeterminatezza dei presupposti della legge che dovrebbe assicurargli tutela contro l’uso arbitrario della discrezionalità amministrativa.

La disposizione impugnata deve, pertanto, essere dichiarata costituzionalmente illegittima per contrasto con l’art. 3 Cost”. La Corte con tale passaggio motivazionale ha espressamente esteso l’ambito di operatività del principio di ragionevolezza all’intero ordinamento. 

Da ultimo, è stato ritenuto costituzionalmente illegittimo l’articolo 11 della legge della Regione Molise per violazione articolo 97, in particolare, dell’ordinaria e normale modalità di assunzione del personale pubblico costituita dal pubblico concorso, cui è possibile derogarsi solo in presenza di particolari situazioni giustificatrici, assenti nel caso di specie. La norma prevedeva, difatti, la stabilizzazione di personale, derogando alla regola del pubblico concorso e senza disciplinarla in modo rigoroso. Così – secondo quanto ritenuto dalla Corte - altresì introducendo nuovi oneri finanziari non quantificati a carico della Regione e, dunque, illegittimamente contravvenendo al disposto dell’articolo 81 della Costituzione.

Argomento: Ragionevolezza della legge
Sezione: Corte Costituzionale

(C. Cost., 5 giugno 2023, n. 110)

 

Stralcio a cura di Fabio Coppola 

“(…)Fermo restando l’ovvio principio che il contenuto precettivo di una legge deve anzitutto evincersi dal «significato proprio delle parole secondo la connessione di esse», anche alla luce dei lavori preparatori, in quanto utili a ricostruire l’«intenzione del legislatore» (art. 11 Preleggi), le spiegazioni fornite dalla Regione sul significato della disposizione impugnata, anche a mezzo del proprio difensore in udienza, confermano il carattere criptico dell’acronimo utilizzato, nonché la vaghezza di molte espressioni in esse contenute: a cominciare dal sostantivo «tematismo», il cui significato può ragionevolmente cogliersi soltanto ove la disposizione venga letta alla luce della disciplina di cui alla legge reg. Molise n. 24 del 1989, che è stata invero evocata in udienza, ma non è in alcun modo richiamata dal testo normativo in esame. 4.3.2.– Occorre a questo punto stabilire se una disposizione dal significato così radicalmente inintelligibile si ponga per ciò stesso in contrasto, come sostenuto dal ricorrente, con il principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost. 4.3.2.1.– In materia penale, questa Corte esercita da tempo un controllo sui requisiti minimi di chiarezza e precisione che debbono possedere le norme incriminatrici, in forza – in particolare – del principio di legalità e tassatività di cui all’art. 25, secondo comma, Cost.  Già nella sentenza n. 96 del 1981 si è affermato, in proposito, che il legislatore penale «ha l’obbligo di formulare norme concettualmente precise sotto il profilo semantico della chiarezza e della intelleggibilità dei termini impiegati» (punto 2 del Considerato in diritto). Sulla base di tale criterio, la pronuncia ha ritenuto costituzionalmente illegittima la disposizione incriminatrice del plagio (art. 603 del codice penale), che vietava di «sottopo[rre] una persona al proprio potere, in modo da ridurla in totale stato di soggezione»: situazione considerata da questa Corte del tutto oscura nei suoi contorni, e per tale ragione «non verificabile nella sua effettuazione e nel suo risultato non essendo né individuabili né accertabili le attività che potrebbero concretamente esplicarsi per ridurre una persona in totale stato di soggezione» (punto 14 del Considerato in [continua ..]

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