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Prestazione professionale: "quantum debeatur" e relativi oneri probatori del credito azionato ex art. 2697 c.c.
Alessandro Marchetti Guasparini
La vicenda in esame trae origine da un giudizio di opposizione ad un decreto ingiuntivo, avente ad oggetto il (presunto) credito di un avvocato per ottenere il pagamento di compensi professionali. Ai sensi degli artt. 633 e 636 c.p.c., il professionista aveva richiesto l’emissione del decreto ingiuntivo sulla base della parcella per spese e prestazioni, sottoscritta e corredata del parere della competente associazione professionale. Tuttavia, la parte intimata aveva proposto opposizione, allegando di aver contestato la richiesta di compenso del professionista, non avendo prestato quindi il proprio assenso al quantum della parcella.
La Suprema Corte è stata perciò chiamata a pronunciarsi sulla valenza della parcella professionale ai fini del riconoscimento del credito del professionista e sull’onere, in capo al debitore, di contestare l’effettivo svolgimento dell’attività professionale.
In relazione al valore probatorio della parcella del professionista, la Corte di Cassazione ha ribadito il principio, espresso dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite[1] secondo cui, ai fini della liquidazione dei compensi degli avvocati, la parcella delle spese e prestazioni, sottoscritta e corredata del parere della competente associazione professionale – pur mantenendo l'efficacia vincolante attribuitale dall'art. 636 c.p.c. nel procedimento per ingiunzione – perde questa efficacia nel giudizio di opposizione ex art. 645 c.p.c. In particolare, nel giudizio ordinario avente ad oggetto l’accertamento del credito, il giudice è libero di discostarsene, salvo l'obbligo di fornire congrua motivazione, “spettando in ogni caso al professionista, nella sua qualità di attore, fornire gli elementi dimostrativi della pretesa, per consentire al giudice la verifica delle singole prestazioni svolte e la loro corrispondenza con le voci e gli importi indicati nella parcella”.
Pertanto, secondo un indirizzo consolidato[2], nel giudizio di cognizione avente ad oggetto il pagamento di prestazioni professionali di un avvocato, nel caso in cui il debitore intimato svolga contestazioni in ordine all'espletamento ed alla consistenza dell'attività che si assuma svolta, tale contestazione “è idonea e sufficiente ad investire il giudice del potere-dovere di verificare il quantum debeatur”; la parcella del professionista costituisce infatti “una semplice dichiarazione unilaterale del professionista, sul quale perciò rimangono i relativi oneri probatori del credito azionato ex art. 2697 c.c.”
Dal momento che, nel caso di specie, era sorta la questione se il debitore intimato avesse effettivamente contestato la debenza del credito azionato dal professionista, la Corte ha espresso alcuni principi in ordine all’onere di specifica contestazione. In primo luogo, la Corte ha statuito che, affinché un fatto possa dirsi non contestato dal convenuto (e perciò non richiedente una specifica dimostrazione) “occorre o che lo stesso fatto sia da quello esplicitamente ammesso, o che il convenuto abbia improntato la sua difesa su circostanze o argomentazioni incompatibili col disconoscimento di quel fatto”. La Suprema Corte ha pertanto affermato che “la non contestazione scaturisce dalla non negazione del fatto costitutivo della domanda”; pertanto, non può considerarsi sussistente l’ipotesi di cui all’art. 155 c.p.c. “ove, a fronte di una pretesa creditoria fondata sullo svolgimento di una complessa prestazione giudiziale di avvocato, il cliente abbia comunque definito incongruo il compenso richiesto rispetto all'attività svolta”.
In relazione alle modalità e alla precisione con la quale il convenuto deve contestare la debenza di un compenso professionale, la Corte ha infine precisato che l'onere di contestare in modo specifico la richiesta di compenso del professionista sorge “ove questa muova da un conteggio preciso e dettagliato, e non un importo complessivo e globale, spettando in ogni caso tale accertamento di fatto al giudice del merito”.
[1] Cfr. Cass. Civ. SS. UU. n. 19427/2021.
[2] Cfr. Cass. Civ. n. 230/2016; Cass. Civ. n. 14556/2004; Cass. Civ. n. 10150/2003.
Sezione: Sezione Semplice
(Cass. Civ., Sez. VI, 10 gennaio 2023, n. 357)
Stralcio a cura di Ida Faiella
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