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Prestazioni già eseguite e revisione dei prezzi in caso di interdittiva antimafia

Federica Faleri.

Le questioni sottoposte all’esame dell’Adunanza Plenaria in materia di interdittiva antimafia riguardano il rimborso delle opere già eseguite a seguito del recesso dal contratto esercitato dalla Pubblica Amministrazione. In particolare, con l’ordinanza di rimessione si richiede di stabilire come debba esser interpretato il concetto di “valore delle opere già eseguite” e, con particolare riferimento agli appalti di servizi connotati da prestazioni periodiche, ripetitive e standardizzate, come debba essere inteso il “valore dei servizi già resi”, cioè se debba tenersi conto solo del prezzo pattuito come desumibile dal contratto stipulato tra le parti o dell’effettivo valore economico delle prestazioni, da quantificarsi anche tenendo conto della revisione dei prezzi che hanno interessato le opere già realizzate ed i servizi già erogati. 

Occorre premettere che l’interdittiva antimafia costituisce uno dei principali strumenti di contrasto al coinvolgimento di organizzazioni criminali nell’ambito dei rapporti economici tra Pubblica Amministrazione e privati. Nel dettaglio, l’interdittiva comporta una particolare forma di incapacità ex lege parziale, poiché limitata ai rapporti giuridici intessuti con la P.A. e tendenzialmente temporanea. In sostanza, si esclude che un imprenditore, sebbene dotato di adeguati mezzi economici e di un’efficace organizzazione di impresa, risulti affidabile per le istituzioni, non potendo lo stesso esser titolare di rapporti contrattuali con le Pubbliche Amministrazioni. 

Come evidenziato dalla giurisprudenza, l’interdittiva ha una natura cautelare e preventiva, richiedendo la sua applicazione un bilanciamento tra la tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica, da un lato, e la libertà di iniziativa economica (art. 41 Cost.), dall’altro.    

La conseguenza dell’applicazione dell’interdittiva antimafia è che al soggetto che ne è destinatario, sia esso persona fisica o giuridica, è precluso avere con la P.A. rapporti riconducibili a quanto disposto dall'art. 67 co. 1 lett. g) d.lgs. n. 159/2011 (c.d. Codice Antimafia), nella parte in cui prevede il divieto di ottenere "contributi, finanziamenti e mutui agevolati ed altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati da parte dello Stato, di altri enti pubblici o delle Comunità Europee, per lo svolgimento di attività imprenditoriali.” 

Sul punto, l’Adunanza Plenaria in commento richiama la giurisprudenza del Consiglio di Stato secondo cui la disposizione di cui all’art. 67, co. 1, lett. g) del Codice Antimafia debba esser interpretata nel senso di riferirsi a qualunque tipo di esborso proveniente dalla P.A., quale che ne sia la fonte e la causa, per il tempo di durata degli effetti dell’interdittiva. Tuttavia, si mette in luce quale sia l’eccezione a tale principio, contenuta nel disposto di cui agli artt. 92, co. 3 e 94, co. 2, secondo cui ai soggetti destinatari del provvedimento interdittivo deve essere comunque corrisposto il “valore delle opere già eseguite e il rimborso delle spese sostenute per l’esecuzione del rimanente, nei limiti delle utilità conseguite”.  

Tanto premesso in punto di diritto, la Plenaria si è preliminarmente soffermata su che cosa debba intendersi per “valore” delle opere (o dei servizi) già eseguite, pagabili al contraente privato interdetto “nei limiti delle utilità conseguite” dall’Amministrazione, dato che non vi può esser un’automatica equivalenza tra prezzo contrattuale e valore delle prestazioni.  

A tal fine, il Collegio ribadisce i principi già affermati, anche in ordine alla natura dell’interdittiva antimafia, dalla stessa Adunanza Plenaria nelle sentenze n. 3 del 2018 e n.23 del 2020, con le quali era stato messo in luce il carattere eccezionale del complessivo sistema normativo disciplinante l’interdittiva antimafia, rispetto al quale deve imporsi la regola di stretta interpretazione propria delle norme di eccezione. La Plenaria, quindi, chiarisce che le eccezioni di cui agli artt. 92 e 94 citati rappresentano una precisa scelta del legislatore, che si giustifica in ragione di un bilanciamento delle conseguenze derivanti da un’esecuzione del contratto disposta in assenza di interdittiva antimafia, intendendosi riconoscere al soggetto interdetto il diritto a vedersi corrisposto un compenso limitato all’utilità conseguita dall’amministrazione, al fine di evitare che quest’ultima possa trarre un ingiustificato arricchimento dall’esecuzione dell’opera.  

In tale quadro, la sentenza giunge a stabilire che negli appalti di servizi, dato che sia la fase di aggiudicazione che la determinazione del prezzo contrattuale seguono ad una procedura ad evidenza pubblica, il valore dei servizi già eseguiti, pagabile nel limite delle utilità conseguite, può essere ritenuto coincidente con il prezzo contrattuale pattuito dalle parti. Ciò in quanto il prezzo contrattuale, stabilito all’esito di una procedura di gara ad evidenza pubblica, deve ritenersi corrispondente al miglior prezzo di mercato conseguibile e, dunque, al valore di mercato della prestazione. Difatti, lo scopo della gara è proprio quello di individuare il contraente che offra un prezzo che meglio corrisponda al valore di mercato della prestazione che la P.A. intende acquisire per soddisfare i bisogni che l’hanno indotta ad esperire il procedimento ad evidenza pubblica. 

Quanto al limite delle “utilità conseguite”, si osserva che la peculiarità dell’appalto di servizi, connotato da prestazioni tipologicamente prefissate, standardizzate e “ripetitive” nel corso della durata contrattuale, con pagamenti periodici delle stesse, implica che le prestazioni eseguite siano scorporabili e omogenee nella loro utilità e, pertanto, può “senz’altro ritenersi che il valore dei servizi già eseguiti, da pagarsi all’impresa interdetta nei limiti delle utilità conseguite dalla stazione appaltante, coincida con il prezzo contrattuale dei servizi già resi”. 

Per quanto riguarda il secondo nodo problematico su cui si è pronunciata l’Adunanza Plenaria, ​​​cioè se nella determinazione del prezzo contrattuale relativo ad un appalto di servizi, da pagarsi in relazione alle prestazioni già eseguite dall’esecutore colpito dall’interdittiva antimafia, ai sensi e per gli effetti degli artt. 92, comma 3, e 94, comma 2, d.lgs. n. 159 del 2011, debba farsi riferimento solo al prezzo originariamente pattuito nel contratto oppure a tale prezzo come integrato dalla revisione dei prezzi nel frattempo maturata per il periodo antecedente all’applicazione dell’interdittiva antimafia, si stabilisce quanto segue.  

In primo luogo, la Plenaria esclude che l’istituto della revisione dei prezzi abbia finalità risarcitorie, condividendo l’orientamento per cui la ratio sottesa alla revisione dei prezzi sia quella di evitare che oscillazioni dei prezzi, tali da portare il prezzo pattuito sotto il valore di mercato delle prestazioni, comportino un ingiustificato arricchimento della parte contrattuale pubblica in danno della parte privata. La revisione dei prezzi serve, difatti, precipuamente a ragguagliare con pienezza la remunerazione contrattuale dell’appaltatore al valore della prestazione resa dal medesimo all’Amministrazione. Al contrario, se si ritenesse che in caso di interdittiva antimafia il prezzo da pagare per le prestazioni eseguite sia solo quello originario senza l’integrazione derivante dalla revisione, si affermerebbe che all’esecutore vada pagato un prezzo inferiore alle utilità conseguite dall’Amministrazione. Tale conclusione sarebbe contraria alla lettera e alla ratio legis, poichè la P.A., così operando, si approprierebbe ingiustificatamente della quantità di “valore” quale risultante dalla differenza tra quanto previsto originariamente nel contratto e il (maggior) costo del lavoro determinato tenendo conto della revisione. La differenza in questione costituirebbe quell’ingiustificato arricchimento che le norme  citate (artt. 92 e 94 del Codice Antimafia) e la stessa sentenza n. 23 del 2020 tendono ad evitare, prevedendo il pagamento del valore delle prestazioni già eseguite, ancorché nei limiti delle utilità conseguite dall’Amministrazione.  

Di conseguenza, la Plenaria giunge ad affermare che le somme da corrispondere per i servizi resi non potranno che avere come base di riferimento il prezzo come revisionato.  

In definitiva, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con sentenza n. 14/2021, afferma i seguenti principi di diritto: 

a) negli appalti pubblici di servizi aggiudicati a seguito di una procedura di evidenza pubblica, aventi ad oggetto prestazioni periodiche o continuative connotate da standardizzazione, omogeneità e ripetitività, il “valore delle prestazioni già eseguite”, da pagarsi all’esecutore nei limiti delle utilità conseguite dalla stazione appaltante, in caso di interdittiva antimafia, ai sensi e per gli effetti degli artt. 92, co. 3 e 94, co. 2 del d lgs. n. 159/2011, corrisponde al prezzo contrattuale pattuito dalle parti, salva la possibilità di prova contraria da parte della stazione appaltante che esercita il recesso; 

  1. b) nella determinazione del valore-prezzo degli appalti di servizi da pagarsi per le prestazioni già eseguite, ai sensi e per gli effetti degli artt. 92, co. 3 e 94, co. 2 del d lgs. n. 159/2011, deve intendersi compresa anche la somma risultante dall’applicazione del procedimento obbligatorio di revisione dei prezzi di cui all’art. 115 d.lgs. n. 163/2006”.
Argomento: Interdittiva antimafia
Sezione: Adunanza Plenaria

(Cons. St., Ad. Plen., 6 agosto 2021, n. 14)

Stralcio a cura di Davide Gambetta

DIRITTO 14. […] L’informazione interdittiva antimafia determina una particolare forma di incapacità ex lege parziale (in quanto limitata a specifici rapporti giuridici con la Pubblica Amministrazione) e tendenzialmente temporanea, con la conseguenza che al soggetto - persona fisica o giuridica - è precluso avere con la Pubblica Amministrazione rapporti riconducibili a quanto disposto dall'art. 67 co. 1 lett. g) d.lgs. n. 159/2011, nella parte in cui prevede il divieto di ottenere "contributi, finanziamenti e mutui agevolati ed altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati da parte dello Stato, di altri enti pubblici o delle Comunità Europee, per lo svolgimento di attività imprenditoriali.” La disposizione dell’art. 67, co. 1, lett. g) del codice antimafia va interpretata nel senso di riferirsi a qualunque tipo di esborso proveniente dalla P.A., quale che ne sia la fonte e la causa, per il tempo di durata degli effetti dell’interdittiva (Cons. St., sez. III, 4 giugno 2021, n. 4293). Eccezione al detto principio è contenuta nel disposto degli artt. 92, co. 3 e 94, co. 2 che prevedono testualmente che i soggetti di cui all’art. 83 “revocano le autorizzazioni o le concessioni o recedono dai contratti fatto salvo il pagamento del valore delle opere già eseguite e il rimborso delle spese sostenute per l’esecuzione del rimanente, nei limiti delle utilità conseguite”. Ai soggetti, sebbene già destinatari del provvedimento interdittivo, deve essere comunque corrisposto il “valore delle opere già eseguite e il rimborso delle spese sostenute per l’esecuzione del rimanente, nei limiti delle utilità conseguite”. 15. Il quesito posto dall’ordinanza di rimessione chiede di verificare come debba essere interpretato il concetto di “valore delle opere già eseguite” e, con particolare riferimento agli appalti di servizi connotati da prestazioni periodiche, ripetitive e standardizzate (quale è quello per cui qui è processo), come debba essere inteso il “valore dei servizi già resi”, e cioè se debba tenersi conto solo del prezzo pattuito come desumibile dal contratto stipulato tra le parti o dell’effettivo valore economico delle prestazioni, che deve essere quantificato dovendosi anche tenere conto della revisione dei [continua ..]

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