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La libertà di proselitismo degli atei e degli agnostici e il limite unico del vilipendio
Gennaro Russo
(Cass. civ., Sez. I, 17 aprile 2020, n. 7893)
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Gennaro Russo
Con l’ordinanza in epigrafe, la Corte di Cassazione si è pronunciata sui diritti riservati agli atei ed agnostici, in particolare sui limiti posti alla libertà di proselitismo di quest’ultimi. La pronuncia della Suprema Corte ha tratto origine dal ricorso presentato dall’Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti – UAAR, con sede in Roma, a seguito del rifiuto del Comune di Verona di concedere l’affissione “di dieci manifesti recanti la parola, a caratteri cubitali, “Dio”, con la “D” a stampatello barrata da una crocetta e le successive lettere “io” in corsivo e sotto la dicitura, a caratteri più piccoli, “10 milioni di italiani vivono bene senza D. E quando sono discriminati, c’è l’UAAR al loro fianco”. Inoltre sono indicati, a caratteri ancora più piccoli, il logo e la denominazione dell’associazione. In particolare, la richiesta è stata respinta dalla Giunta Comunale poiché “il contenuto della comunicazione è potenzialmente lesivo nei confronti di qualsiasi religione”. La UAAR, infatti, ha proposto ricorso innanzi al Tribunale, ex art. 702 bis c.p.c., ai sensi degli artt. 43 e 44 D.lgs. n. 286 del 1998, nonché ai sensi dell’art. 28 D.lgs.150 del 2011, chiedendo l’accertamento del carattere discriminatorio posto in essere dal Comune. Il Tribunale ha rigettato il ricorso, ritenendo che il diniego di affissione non costituisse alcuna forma di discriminazione, essendo le ragioni del rifiuto individuate esclusivamente nelle modalità grafiche ed espressive contenute nei manifesti. La decisione è stata confermata anche dalla Corte d’Appello che ha accertato l’assenza di qualsiasi condotta discriminatoria riservata all’associazione, circa la possibilità di manifestare il proprio credo religioso. Quindi, l’UAAR ha proposto ricorso presso la Corte di Cassazione, denunciando la violazione e la falsa applicazione degli artt. 19 e 21 della Costituzione, nonché degli art. 9 della CEDU e D.lgs. n. 286 del 1998. In particolare, l’UAAR ha ritenuto che la Corte d’Appello avesse escluso la sussistenza della libertà religiosa nella forma negativa, corrispondente alla mancanza di un credo religioso, così errando nel ritenere escluso qualsiasi fenomeno di discriminazione, rispetto alle altre [continua ..]