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Ai rapporti di collaborazione di cui all'art. 2 del d.lgs. n. 81 del 2015 si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato

Maria Strino

Cass. civ., Sez. IV, 24 gennaio 2020, n. 1663

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(…) Secondo la ricorrente, il D.Lgs. n. 81 del 2015, art. 2, non ha introdotto, come invece ritenuto dalla Corte d’appello, un tertium genus di lavoro, non riconducibile né al lavoro coordinato senza subordinazione (previsto dall’art. 409 c.p.c., n. 3) né alla subordinazione in senso proprio (art. 2094 c.c.). La norma introdotta nell’ordinamento nel 2015 va contestualizzata. Essa si inserisce in una serie di interventi normativi con i quali il legislatore ha cercato di far fronte alle profonde e rapide trasformazioni conosciute negli ultimi decenni nel mondo del lavoro, anche per effetto delle innovazioni tecnologiche, trasformazioni che hanno inciso profondamente sui tradizionali rapporti economici. In attuazione della delega di cui alla L. n. 183 del 2014, cui sono seguiti i decreti delegati dei quali fa parte il D.Lgs. n. 81 del 2015, e che vanno sotto il nome di Jobs Act, il legislatore delegato, ha infatti affrontato il tema del lavoro “flessibile” inteso come tale in relazione alla durata della prestazione (part-time e lavoro intermittente o a chiamata), alla durata del vincolo contrattuale (lavoro a termine), alla presenza di un intermediario (lavoro in somministrazione), al contenuto anche formativo dell’obbligo contrattuale (apprendistato), nonché all’assenza di un vincolo contrattuale (lavoro accessorio). Per quanto attiene allo svolgimento del rapporto, il legislatore delegato ha poi introdotto un ulteriore incentivo indiretto alle assunzioni, innovando profondamente la disciplina delle mansioni attraverso il D.Lgs. n. 81 del 2015, art. 3, con la riformulazione dell’art. 2103 c.c. Anche l’abolizione dei contratti di lavoro a progetto, la stabilizzazione dei collaboratori coordinati e continuativi anche a progetto e di persone titolari di partite IVA e la disciplina delle collaborazioni organizzate dal committente si collocano dunque nella medesima prospettiva (…). In una prospettiva così delimitata non ha decisivo senso interrogarsi sul se tali forme di collaborazione, così connotate e di volta in volta offerte dalla realtà economica in rapida e costante evoluzione, siano collocabili nel campo della subordinazione ovvero dell’autonomia, perché ciò che conta è che per esse, in una terra di mezzo dai confini labili, l’ordinamento ha statuito espressamente l’applicazione delle norme sul lavoro [continua ..]

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Nota di Maria Strino

L’intervento giurisprudenziale in commento riveste notevole importanza nel panorama interpretativo in materia di collaborazioni coordinate e continuative, risultando insuperata l’attualità del tema, in virtù della costante esigenza di bilanciare il binomio subordinazione-autonomia con le cangianti sfide che l’economia reale tende al diritto del lavoro. La vicenda sottoposta all’esame della Suprema Corte ha per protagonista una categoria di lavoratori sempre più spesso menzionata nel gergo quotidiano: i c.d. riders. Si tratta degli eredi digitali dei pony express, che si sono ampiamente diffusi nel mercato del lavoro in concomitanza con l’evoluzione delle piattaforme multimediali e della Gig Economy, tanto da conquistare la crescente attenzione del legislatore e degli studiosi. La questione rimessa al vaglio della Corte di Cassazione riguarda, principalmente, la qualificazione giuridica della fattispecie che, lungi dal rilevare in ottica di mero inquadramento sistematico, assume enorme significato per l’individuazione delle tutele applicabili al rapporto di lavoro. In considerazione del carattere non retroattivo della novella realizzata con il decreto legge n. 101/2019, la sentenza statuisce, innanzitutto, l’applicabilità al caso di specie dell’art. 2, decreto legislativo n. 81/2015, nella sua formulazione originaria. Tale disposizione, rubricata “Collaborazioni organizzate dal committente”, è stata al centro di un “vivace dibattito dottrinale”, che ha visto contrapporsi letture ermeneutiche connotate da profili di antiteticità, se non addirittura di contraddizione. L’analisi ricostruttiva effettuata per il caso di specie prende, quindi, le mosse da un’utile contestualizzazione della norma all’interno del disegno riformatore perseguito dal c.d. Jobs Act (legge n. 183/2014 e successivi decreti delegati), complessivamente finalizzato all’incre­mento dell’occupazione. La Suprema Corte opportunamente precisa, al riguardo, che “le previsioni dell’art. 2 del d.lgs. n. 81 del 2015 vanno lette unitamente all’art. 52 dello stesso decreto, norma che ha abrogato le disposizioni relative al contratto di lavoro a progetto previsto dagli artt. da 61 a 69-bis del d.lgs. n. 276 del 2003”. Sul punto, si chiarisce come il ripristino della più ampia tipologia contrattuale rappresentata [continua ..]

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