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L'abrogato delitto di millantato credito “pretestuoso” (art. 346, co. 2. c.p.) non si pone in termini di continuità normativa con il traffico di influenze illecite (art. 346-bis c.p.) nè con la truffa (art. 640 c.p.)

Argomento: Dei delitti contro la pubblica amministrazione
Sezione: Sezioni Unite

(Cass. Pen., SS.UU., 15 maggio 2024, n. 19357)

Stralcio a cura di Fabio Coppola 

“(…) La questione di diritto per la quale Il ricorso è stato rimesso alle Sezioni Unite è Il seguente: ”se sussista continuità normativa tra il reato di millantato credito di cui all'art. 346, secondo comma, cod. pen. - abrogato dall'art. 1, comma 1, Jett. s), legge 9 gennaio 2019, n. 3 - e il reato di traffico di influenze illecite di cui all'art. 346-bis cod. pen., come modificato dall'art. 1, comma 1, lett. t) della citata legge". (…) Le due contrapposte soluzioni esegetiche impongono, preliminarmente, di considerare - sia pur in forma schematica - l'evoluzione normativa che la materia in esame ha avuto nel tempo. (…) Nel mlllantato credito c.d. "semplice", previsto dal primo comma dell'art. 346 cod. pen., il denaro e l'altra utilità erano ritenute Il prezzo della mediazione e il fatto era considerato punibile anche in assenza di impiego, da parte del millantatore, di particolari forme di artifici o raggiri. Nel millantato credito c.d. "corruttiva", disciplinato dal secondo comma dell'art. 346 cod. pen., il denaro o l'altra utilità erano indicate, invece, come il prezzo di una possibile corruzione: in tale seconda figura, dunque, il millantatore che intendeva trattenere per sé il prezzo, lo chiedeva non come corrispettivo per l'attività di mediazione che si impegnava a svolgere, ma con il "pretesto" di dover comprare il favore del pubblico agente o di doverlo remunerare; presentandosi, così, non come semplice intermediario capace di influire sulle determinazioni di funzionari pubblici, ma come "strumento" di corruzione di un pubblico agente, con il quale egli non aveva in realtà alcuna relazione (poiché In presenza di un rapporto effettivamente instaurato con il pubblico agente si sarebbero potuti configurare i più gravi reati della Istigazione alla corruzione o della stessa corruzione). In altri termini, nella ipotesi descritta dal secondo comma dell'art. 346 cod. pen. il mediatore agiva con l'intento di appropriarsi del denaro o dell'altra utilità promessa o ricevuta, sicché la sua condotta, nella quale era riconoscibile un profilo più spiccatamente lngannatorio e, comunque, maggiormente lesivo dell'interesse della pubblica amministrazione, era punita più severamente di quanto non avvenisse per quella descritta dal primo comma dello stesso art. 346 cod. pen. (…) La più volte citata legge n. 3 del [continua ..]

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