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La reintegrazione nel possesso e le azioni in autotutela del proprietario
Debora Berta
L'ordinanza Cass. Civ., sez. II, n. 21613 del 28 maggio 2021 riafferma un principio consolidato e più volte ribadito in altre pronunce della Suprema Corte secondo cui: il convincimento di operare nell'esecizio del proprio diritto reale non esime di per sé dalla responsabilità ai sensi dell'art. 1168 c.c.
Chi, infatti, consapevole di un possesso in atto da parte di altro soggetto, quand'anche ritenuto indebito, modifichi clandestinamente o violentemente (come nella specie, alterando lo stato dei luoghi e più precisamente di un confine tra proprietà agricole) a proprio vantaggio il potere di fatto sul bene ripristinando il proprio, commette una condotta configurabile come spoglio, essendo in tali casi “in re ipsa l'animus spoliandi”. In tale contesto la Corte di Cassazione ribadisce che il principio della legittima autotutela potrebbe operare soltanto “in continenti”, ovvero nell'immediatezza di un illegittimo attacco al proprio possesso cosìcchè si tratti di un ripristino immediato dello stato di fatto. In tal senso si veda Cass. Civ. II sez. 9/6/2009, n. 13270.
L'elemento soggettivo della condotta di spoglio il c.d. animus spoliandi sussiste ogni qualvolta il soggetto agente sia consapevole di agire contro la volontà espressa o tacita di colui che in quel momento ha la signoria sul bene (si veda in tal senso Cass. Civ. Sez. II, 13/2/1999, n. 1204) a prescindere dal fatto che il possesso del bene sia una mera situazione di fatto o corrisponda ad una situazione di diritto. “La presenza del detto elemento soggettivo dello spoglio può legittimamente venir esclusa, pertanto - precisa la sentenza in commento - qualora risulti provato, da parte del convenuto nel giudizio possessorio, il proprio ragionevole convincimento circa il consenso del possessore alla modifica o privazione del suo possesso (conf. Cass. n. 2316/2011; Cass. n. 8059/2005).
L'elemento soggettivo della condotta configurabile come spoglio ai sensi dell'art. 1168 c.c. sussiste secondo la giurisrudenza della Suprema Corte indipendentemente dalla convinzione dell'agente di operare secondo diritto, ovvero con il proposito di ripristinare la corrispondenza tra situazione di fatto e situazione di diritto. La sentenza in commento, richiamando il fatto accertato nel merito dal Giudice di prime cure e dalla Corte di Appello, ha evidenziato come la reazione dello spoliator sia avvenuta non nell'immediatezza del fatto assunto come lesivo, ma a distanza di alcuni mesi, così che non poteva essere invocata alcuna forma di legittima autotutela del diritto leso. Soltanto una reazione “in continenti”, posta in essere nell'immediatezza di una condotta lesiva del possesso, avrebbe potuto essere valutata come ammissibile forma di autotutela escludendo lo spoglio.
Il cd. principio dell'autotutela possessoria, o della legittima difesa privata del possesso, consente a chi è spogliato del possesso o è stato molestato, se lo faccia immediatamente, cioè mentre dura l'offesa, di ritogliere legittimamente egli stesso allo spoliator la cosa o rimuovere la molestia di cui è vittima, senza incorrere nel reato di ragion fattasi (esercizio arbitrario delle proprie ragioni).
Il principio presente nel diritto romano e nel diritto canonico, pur non essendo espressamente previsto nel nostro ordinamento è stato affermato dalla dottrina e individuato da pronunce della Suprema Corte entro ristretti limiti (ad esempio temporali come nel caso che ci occupa), travalicati i quali il soggetto non può che ricorrere alla tutela giudiziale, possessoria o petitoria, del diritto leso.
Sezione: Sezione Semplice
(Cass. Civ., Sez. II, 28 luglio 2021, n. 21613)
stralcio a cura di Gianmarco Meo
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