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La responsabilità della casa farmaceutica per i danni conseguenti a sperimentazione clinica

 

Laura Spotorno

 

Con questa pronuncia la Corte di Cassazione affronta il tema della responsabilità da contatto sociale nell’ambito delle sperimentazioni cliniche, elaborando un principio di diritto che si contrappone alle conclusioni a cui erano giunti i giudici di merito con le loro rispettive decisioni.

La vicenda de quo trae origine da una Azienda Ospedaliera (d’ora in poi A.O.) che aderiva ad una sperimentazione clinica avviata da una nota azienda farmaceutica (d’ora in poi A.F.) avente ad oggetto la sperimentazione di un farmaco destinato al trattamento, in fase adiuvante, del carcinoma mammario. La Sperimentazione veniva avviata e i medici dell’A.O.“invitavano” una paziente, ricoverata presso lo stesso, a sottoporsi alla sperimentazione clinica di cui sopra. Tale paziente, aveva, infatti, subito un intervento chirurgico con asportazione parziale e, successivamente, era stata trattata con terapia adiuvante mediante chemioterapici. Presentava, pertanto, tutti i requisiti richiesti per essere una candidata ottimale alla sperimentazione di cui sopra.

Nel suo atto di citazione, al Tribunale di Napoli, la paziente sosteneva di aver ricevuto, dai medici dell’Ospedale, informazioni generiche relativamente ai rischi cardiologici a cui poteva andare in contro nell’ambito della sperimentazione clinica. In effetti parte attrice nel suo atto introduttivo, dichiarava che poco dopo due mesi dall’inizio della terapia, erano emerse problematiche cardio-circolatorie che avevano indotto i medici, dell’A.O, a sospendere il trattamento con il farmaco sperimentale. Qualche anno dopo, a seguito di un malore cardiologico, parte attrice si era sottoposta ad uno specifico esame che aveva rilevato uno scompenso cardiaco. I medici avevano ricondotto tale evento proprio al farmaco che la stessa aveva assunto durante la sperimentazione clinica, in quanto facilmente riconducibile a uno degli effetti indesiderati causati dal farmaco suddetto.

Parte attrice, pertanto, conveniva in giudizio “lAzienda Ospedaliera e la casa farmaceutica per sentirle condannare in solido al risarcimento dei danni ravvisando una responsabilità precontrattuale, contrattuale ed extracontrattuale”.

Il giudice di primo grado accoglieva la domanda di parte attrice condannando i convenuti e, quindi, l’A.O. e l’A.F., al pagamento in solido del risarcimento dei danni. Tale sentenza veniva riconfermata dalla Corte di Appello.

In particolare, la Corte territoriale, nel confermare la decisione del giudice di primo grado, sosteneva che l’attività della azienda farmaceutica sarebbe stata da inquadrare nell’ambito delle attività pericolose ex art. 2050 c.c. ma, analizzando le peculiarità del caso di specie, la Corte ravvisava altresì gli estremi della teoria del “contatto sociale”. La Corte d’Appello, infatti, sosteneva che, la casa farmaceutica, si era fatta promotrice di una cura sperimentale attraverso la sponsorizzazione di un nuovo farmaco e, al contempo, aveva previsto il coinvolgimento diretto ed effettivo dei medici dell’A.O. che aderiva alla sperimentazione in questione in quanto la somministrazione del farmaco sperimentale, prodotto dalla casa farmaceutica, avveniva attraverso un “protocollo attuato dai medici indicati come “sperimentatori delegati”. Pertanto, secondo la Corte, tale circostanza “mutuava la natura del rapporto ravvisabile tra la casa farmaceutica e il paziente utilizzatore del farmaco”.

In questo modo la Corte territoriale, avvalorando la tesi sostenuta dal Tribunale, affermava che il rapporto tra la parte offesa e la casa farmaceutica, ben si inquadrasse nell’ambito contrattuale consentendo, così, di individuare, nel rapporto tra i medici del nosocomio e la casa farmaceutica, gli estremi del “contatto sociale”, in quanto, nel caso di specie, “le caratteristiche della colpa medica andavano valutate nell’ambito del diverso schema giuridico contrattuale”. Quanto sopra anche in considerazione del fatto che la stessa casa farmaceutica “non si era premurata in alcun modo di dimostrare linesistenza di un rapporto/collegamento tra sé e i medici del nosocomio”.

La Corte territoriale rileva, inoltre, come “lappellante principale”, ossia la casa farmaceutica, avesse concentrato la propria difesa sulla correttezza e completezza delle informazioni rese alla parte offesa tralasciando invece, il punto davvero importante per la Corte ossia il nesso sussistente tra il farmaco sperimentale, assunto dalla parte offesa, e i sintomi successivi alla assunzione di tale farmaco denunciati dalla stessa. La Corte territoriale concludeva ritenendo che la “responsabilità dellazienda Ospedaliera, nonché della Società farmaceutica, fosse da ravvisare «non tanto e, comunque, non solo nella inadeguatezza delle informazioni somministrate prima della sottoposizione al programma sperimentale» quanto invece nella «inadeguata valutazione della ben maggiore incidenza del rischio di insorgenza di gravi patologie cardiologiche» conseguente alla somministrazione di quel farmaco «in pazienti già affetti da cardiopatie e già sottoposti a chemioterapia con antibiotici antraciclinici».

Avverso la sentenza della Corte di Appello proponevano ricorso l’A.F. e controricorso l’ A.O.; parte offesa, invece, non svolgeva alcuna attività difensiva.

In ordine al riconoscimento della responsabilità da “contatto sociale” asserita e ravvisata sia in primo grado che in Appello nei confronti della A.O. e della casa farmaceutica, la Corte di Cassazione rammenta brevemente l’evoluzione della “categoria della responsabilità da contatto sociale” in ambito sanitario. A tal proposito richiama una propria sentenza, la n. 589 del 1999 rammentando come tale teoria fosse nata per trovare una soluzione alla responsabilità dei medici dipendenti di strutture sanitarie che, nell’esercizio delle loro attività, “di fatto del tutto sovrapponibili a quelle scaturenti da un contratto di prestazioni di opera professionale”, si trovavano necessariamente ad entrare in un rapporto immediato con i pazienti ricoverati presso la struttura, ciò nonostante “lassenza di un rapporto propriamente contrattuale con i pazienti”. Ne consegue pertanto che, tale teoria, presuppone che venga indagata l’esistenza di un rapporto diretto tra medico e paziente, rapporto che si esplica nel “contatto”. A fronte di tale “contatto” nascerebbero degli obblighi di condotta assimilabili a quelli propri di un “contratto” e, pertanto, con la possibilità, in caso di responsabilità, di ricondurre la stessa all’ambito della responsabilità contrattuale. La Corte ricorda, inoltre, come tale teoria debba ormai considerarsi superata grazie all’intervento del legislatore il quale, con la legge n. 24/2017 all'art. 7, ha previsto espressamente la riconducibilità della responsabilità del medico, esercente la propria attività professionale alle dipendenze di una struttura sanitaria, all’ambito extracontrattuale, salvo che abbia agito nell’adempimento di una obbligazione contrattuale assunta direttamente con il paziente. Nel caso di specie, la Corte di Cassazione non riteneva che la paziente avesse avuto dei rapporti diretti anche con la casa farmaceutica, bensì solamente con i medici della struttura sanitaria presso la quale era ricoverata. Pertanto, mancando un effettivo “contatto” tra la paziente e la casa farmaceutica per la Corte di Cassazione verrebbe meno la nascita di una obbligazione contrattuale tra le due parti, per mancanza del requisito fondamentale a sostegno della tesi della responsabilità da contatto sociale. Parte offesa, infatti, avrebbe avuto dei rapporti solamente con i medici dell’A.O. Ne consegue, quindi, che affinché si possa sostenere che vi sia una responsabilità da contatto sociale sarebbe necessario accertare che la casa farmaceutica abbia assunto una obbligazione nei confronti della parte offesa, a fronte del suo “reclutamento nel programma sperimentale e ciò sia direttamente che indirettamente e, in questo secondo caso, a condizione che tale reclutamento risulti reperibile (oltreché alla struttura ospedaliera) anche alla casa farmaceutica, in modo che l’inadempimento individuato a carico dei sanitari (quale quello evidenziato dalla Corte territoriale) risulti imputabile anche alla società farmaceutica a norma dell’art. 1228 c.c.”

Inoltre, secondo la Corte di Cassazione, la Corte di Appello si sarebbe limitata ad affermare che la casa farmaceutica, nei suoi atti difensivi, non aveva in alcun modo fornito elementi idonei a dimostrare la non fondatezza della tesi del “contatto sociale” in quanto i resistenti “non avevano né dimostrato ma invero neppure dedotto che lo sperimentatore delegato che si è occupato di raccogliere tutti i dati significativi, ai fini della sottoponibilità della paziente (..) alla cura sperimentale (…) non abbia con essa nessun rapporto o collegamento”. Tale principio per la Suprema Corte sarebbe radicalmente viziato in quanto l’esistenza del “contatto sociale” esisterebbe per la Corte d’Appello a seguito di “rapporto intervenuto direttamente tra la parte offesa e gli sperimentatori delegati”. Tutto ciò senza che la Corte d’Appello si fosse preoccupata di “accertare compiutamente il contenuto del rapporto intercorso fra la casa farmaceutica e lAzienda Ospedaliera” al fine di “qualificare i medici sperimentatori come ausiliari (non solo dellAzienda, ma anche) della casa farmaceutica della quale la stessa si sia valsa nelladempimento di unobbligazione assunta nei confronti della parte offesa”.

Concludendo, la Suprema Corte nella vicenda de quo ha elaborato il seguente principio di diritto, rinviando pertanto alla Corte di Appello:

la casa farmaceutica che abbia promosso, mediante la fornitura di un farmaco, una sperimentazione clinica- eseguita da una struttura sanitaria a mezzo dei propri medici – può essere chiamata a rispondere a titolo contrattuale dei danni sofferti dai soggetti cui sia stato somministrato il farmaco, a causa di un errore dei medici “sperimentatori”, soltanto ove risulti, sulla base della concreta conformazione dellaccordo di sperimentazione, che la struttura ospedaliera e i suoi dipendenti abbiano agito quali ausiliari della casa farmaceutica, sì che la stessa debba rispondere del loro inadempimento (o inesatto adempimento) ai sensi dellart 1228 c.c. ; in difetto a carico della casa farmaceutica risulta predicabile soltanto una responsabilità extracontrattuale (ai sensi dellart. 2050 c.c. o, eventualmente, dellart. 2043 c.c.), da accertarsi secondo le regole proprie della stessa.

 

Argomento: Dei fatti illeciti
Sezione: Sezione Semplice

(Cass. Civ., Sez. III, 20 aprile 2021, n. 10348)

stralcio a cura di Carla Bochicchio

  “(…) I.R. convenne in giudizio l'Azienda Ospedaliera (OMISSIS) e la casa farmaceutica R. s.p.a. per sentirle condannare, in solido, al risarcimento dei danni (per "responsabilità precontrattuale, contrattuale ed extracontrattuale") conseguiti alla partecipazione ad una sperimentazione medica a base di Herceptin sponsorizzata dalla R.spa (omissis) e svolta presso l'Azienda Ospedaliera - per il trattamento in fase adiuvante del carcinoma mammario” (…). La censura evidenzia, inoltre, che "la produzione e la commercializzazione di farmaci, ovvero il loro impiego nell'ambito di terapie anche sperimentali, non implica tecnicamente alcun tipo di immediata prossimità con il malato che li assume", considerato che "il ruolo della casa farmaceutica consiste nel fornire alle strutture sanitarie i farmaci, anche sperimentali, lasciando al medico ogni scelta di somministrazione e/o, in caso di cure sperimentali, di valutazione di idoneità del paziente". In conclusione, quindi, la società R. rileva che a suo carico potrebbe sussistere, in astratto, solo una responsabilità da fatto illecito e mai da contatto sociale. Va premesso che la categoria della responsabilità da "contatto sociale" in ambito di responsabilità sanitaria venne elaborata (a partire da Cass. n. 589/1999) per inquadrare secondo il paradigma contrattuale la responsabilità dei medici dipendenti di strutture sanitarie che, pur in assenza di un rapporto propriamente contrattuale coi pazienti, entravano tuttavia in rapporto immediato con gli stessi, effettuando prestazioni in tutto sovrapponibili a quelle scaturenti da un contratto di prestazione di opera professionale; una siffatta categoria giuridica (ormai superata, nello specifico ambito sanitario, a seguito dell'entrata in vigore della L. n. 24 del 2017, art. 7 che ha ricondotto in ambito extracontrattuale la responsabilità del sanitario esercente la propria attività alle dipendenze di una struttura, "salvo che abbia agito nell'adempimento di obbligazione contrattuale assunta con il paziente") presuppone dunque l'accertamento di un rapporto diretto fra due soggetti (il "contatto", per l'appunto) che valga a far sorgere obblighi di condotta assimilabili a quelli derivanti dal contratto e che comporti una successiva valutazione in termini contrattuali dell'eventuale responsabilità conseguente alla prestazione svolta. Tanto rilevato, va [continua ..]

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