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Consenso informato: il danno da lesione del diritto di autodeterminazione va allegato e provato
Lorenza D'Amato
La sentenza n. 16633 del 2023, della terza sezione della Corte di Cassazione, si pone a valle di un orientamento consolidato in materia di consenso informato e risarcimento del danno da lesione del diritto all’autodeterminazione. Si ribadisce, in particolare, la relazione causale diretta tra omessa o insufficiente informazione preventiva e “compromissione dell’interesse all’autonoma valutazione dei rischi e dei benefici del trattamento sanitario”. Ciononostante, tuttavia, non può ritenersi sussistente un danno in re ipsa, pacificamente escluso dalla giurisprudenza di legittimità a più riprese.
Grava, dunque, sul paziente che agisca in giudizio l’onere di allegare e provare non solo il danno evento, da intendersi come violazione del diritto di autodeterminazione, ma anche il danno conseguenza, specificando le conseguenze pregiudizievoli sopportate in termini di danni patrimoniali o non patrimoniali. Può rilevare, ad esempio, la circostanza per la quale il soggetto leso, se debitamente informato, avrebbe rifiutato un determinato intervento prediligendo terapie alternative, con diverse conseguenze anche in termini economici (danno patrimoniale), ovvero avrebbe potuto prepararsi all’eventuale esito infausto, soffrendo meno lo stupor dell’accadimento (danno non patrimoniale).
In particolare poi, la pronuncia in esame, nel rimarcare tali principi, ripercorre lo statuto del consenso informato, offrendo una compiuta disamina circa le conseguenze dell’inadempimento dell’obbligo sussistente in capo al personale sanitario. In primo luogo, nel valutare i motivi di ricorso, la sentenza ribadisce la valenza non solo formale, ma soprattutto sostanziale, dell’acquisizione del consenso. È necessario, infatti, che l’accettazione del trattamento terapeutico proposto si ponga all’esito di una rappresentazione aggiornata, completa e soprattutto comprensibile per l’interlocutore, che riporti le informazioni necessarie come diagnosi, prognosi, benefici e rischi degli accertamenti diagnostici e trattamenti sanitari. Ciò anche con riguardo alle possibili alternative, alle conseguenze dell’eventuale rifiuto o alla rinuncia al trattamento medesimo.
Tali sono i requisiti delineati dalla l. 219 del 2017 in tema di consenso, legge che ha provveduto a regolamentare per la prima volta, in via generale, gli obblighi informativi preventivi nella relazione medico – paziente. Precedentemente, invece, un esplicito riconoscimento si rinveniva soltanto in leggi o disposizioni speciali, pur se non si dubitava dell’ancoraggio costituzionale ex art. 32 Cost.. Nella pronuncia in esame, anche in assenza di uno esplicito richiamo alla normativa di riferimento, nondimeno si evidenzia che “questa Corte ha invero ripetutamente affermato che il consenso del paziente, oltre che informato, dev'essere consapevole, completo (deve riguardare cioè tutti i rischi prevedibili, compresi quelli statisticamente meno probabili, con esclusione solo di quelli assolutamente eccezionali ed altamente improbabili) e globale (deve coprire non solo l'intervento nel suo complesso, ma anche ogni singola fase dello stesso), dall’altro, esso deve essere esplicito e non meramente presunto o tacito (anche se presuntiva, per contro, può essere la prova, da darsi dal medico, che un consenso informato sia stato prestato effettivamente ed in modo esplicito …)”.
Ciò posto, i giudici di legittimità delineano le coordinate della responsabilità da mancato consenso informato, in conformità alla giurisprudenza consolidata: l’inadempimento assume diversa rilevanza causale, a seconda che sia dedotta la violazione del diritto all'autodeterminazione o la lesione del diritto alla salute. In entrambi i casi è necessario identificare tutti gli elementi dell’illecito, con riferimento alla condotta lesiva, al nesso eziologico, al danno evento e al danno conseguenza.
Infatti, dalla condotta lesiva (“ovvero l’omissione o l’incompletezza delle informazioni rese al paziente”) può scaturire un diverso evento di danno “che può essere rappresentato dalla violazione del diritto all’autodeterminazione o della lesione del diritto alla salute o da entrambi allo stesso tempo”, considerata la potenziale plurioffensività del medesimo fatto riconosciuta dalla Cassazione. È necessario, infine, accertare il danno conseguenza, che attiene alle dirette ripercussioni pregiudizievoli nella sfera del danneggiato, secondo il nesso di causalità giuridica ex art. 1223 c.c..
A questo punto, occorre dunque differenziare le due ipotesi, in quanto pongono diverse questioni per l’interprete. In caso di violazione del diritto alla salute, per quanto possa essere più agevole accertare l’eventuale lesione dell’integrità psicofisica, vi è la necessità di individuare la corretta relazione causale rispetto alla mancata acquisizione del consenso. In sostanza, si tratta di provare la diversa scelta terapeutica che il paziente avrebbe effettuato se fosse stato debitamente informato. Solo così, infatti, si evidenzia un nesso eziologico rispetto alla lesione finale.
Come evidenzia la Corte: “in caso, infatti, di presunto consenso, l'inadempimento dell'obbligo informativo, pur esistente, risulterebbe privo di incidenza deterministica sul risultato infausto dell'intervento correttamente eseguito, in quanto comunque voluto dal paziente. Diversamente, in caso di presunto dissenso, detto inadempimento assume invece efficienza causale sul risultato pregiudizievole, in quanto l’intervento terapeutico non sarebbe stato eseguito - e l’esito infausto non si sarebbe verificato - non essendo stato voluto dal paziente”.
Il nucleo centrale della sentenza, tuttavia, affronta invece la diversa ipotesi della violazione del diritto all’autodeterminazione, riconosciuto come diritto soggettivo autonomamente azionabile, a prescindere dall’eventuale condotta colposa del medico nell’esecuzione della prestazione sanitaria. In questo caso, appare evidente la relazione diretta tra inadempimento ed evento dannoso, posto che “l’omessa o insufficiente informazione preventiva evidenzia ex se una relazione causale diretta con la compromissione dell’interesse all’autonoma valutazione dei rischi e dei benefici del trattamento sanitario”. Né assume carattere necessario la prova dell’eventuale dissenso poiché, a prescindere, il danneggiato non è comunque messo in condizione di determinarsi liberamente ed affrontare una scelta consapevole.
Resta tuttavia imprescindibile la prova del danno conseguenza, diverso o ulteriore rispetto alla lesione del bene salute: “è indispensabile allegare e provare specificamente quali altri pregiudizi, diversi dal danno alla salute eventualmente derivato, il danneggiato abbia subito”. Del resto, tale impostazione è l’unica compatibile con l’inammissibilità di un danno in re ipsa. Ancora una volta, quindi, la Corte disattende quel diverso orientamento che aveva ritenuto l’inadempimento automaticamente lesivo dell’interesse sotteso, facendone derivare un’automatica lesione sulla base del solo intervento non consentito.
In definitiva, grava su colui il quale agisce in giudizio per il risarcimento del danno da violazione del diritto di autodeterminazione allegare e provare il concreto pregiudizio subito, sia come danno patrimoniale sia secondo le coordinate del danno non patrimoniale, ammesso, quindi, che si tratti di un pregiudizio non bagatellare. In tale seconda ipotesi la Corte fa riferimento ad un danno apprezzabile “in termini di sofferenza soggettiva e contrazione della libertà di disporre di se stesso, psichicamente e fisicamente, da allegarsi specificamente e da provarsi concretamente, sia pure a mezzo di presunzioni”.
Sezione: Sezione Semplice
(Cass. Civ., Sez. III, 12 giugno 2023, n. 16633)
stralcio a cura di Ciro Maria Ruocco
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