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È costituzionalmente illegittimo l´art. 629 c.p., per difetto di ragionevolezza e proporzionalità della pena, nella parte in cui non prevede un trattamento sanzionatorio più mite quando il fatto risulti di lieve entità
Marco Misiti
Con la sentenza ora in esame[1], il giudice delle leggi ha dichiarato la contrarietà a Costituzione dell’art. 629 c.p. nella parte in cui non prevede una circostanza attenuante per i casi di estorsione di lieve entità. Tale sentenza rappresenta un’evidente dimostrazione del consolidamento nel nostro sistema del principio di proporzionalità intrinseca e del superamento dei rigidi schemi della proporzionalità comparativa, ancorata al tertium comparationis[2].
In breve, i fatti a giudizio dinanzi al Tribunale ordinario di Firenze e al Tribunale ordinario di Roma, giudici rimettenti nel caso di specie.
I procedimenti a quibus avevano entrambi ad oggetto condotte comunemente definite “cavallo di ritorno”: la richiesta, da parte di alcuni soggetti, di somme di denaro ai fini della restituzione ai legittimi proprietari di beni precedentemente sottratti. Nonostante la sostanziale analogia dei fatti sottostanti, le due ordinanze di rimessione presentano un contenuto parzialmente divergente.
Il Tribunale ordinario di Firenze chiedeva l’introduzione, mediante la tecnica del ritaglio, di una circostanza attenuante che consentisse la diminuzione di pena per i fatti di lieve entità, argomentando sulla base della irragionevolezza intrinseca del minimo edittale dell’art. 629 c.p. e del confronto di quest’ultima fattispecie con i reati di violenza sessuale e di sequestro di persona a scopo di estorsione. Proprio in riferimento al paragone con la prima fattispecie il Tribunale ordinario di Firenze individuava l’entità della diminuzione predata in misura non eccedente i due terzi e, in via subordinata, fino a un terzo.
Il Tribunale ordinario di Roma, invece, sollevava questione di legittimità costituzionale in riferimento alla mancata previsione di una circostanza attenuante ad efficacia comune quando il fatto risulti di lieve entità.
Parzialmente diversi anche i parametri costituzionali: gli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost., per il Tribunale ordinario di Firenze; anche l’art. 27, primo comma, Cost., per il Tribunale ordinario di Roma.
Ebbene, nella sentenza ora in esame la Corte costituzionale ha rilevato un vulnus ai principi costituzionali di ragionevolezza e finalità rieducativa della pena – alias, al principio di proporzionalità – nella parte in cui l’art. 629 c.p. non prevede una circostanza attenuante ad effetto comune. Quest’ultima, infatti, consentirebbe di mitigare il minimo edittale di pena per quei fatti che, pur rientrando a pieno titolo nella fattispecie di estorsione, non sono caratterizzati da quel particolare allarme sociale che ha indotto il legislatore a inasprire il trattamento sanzionatorio nel corso del tempo.
Come emerge dalla lettura della motivazione, l’accoglimento della questione sollevata non è stato determinato dall’esistenza di fattispecie che, pur se analoghe, risultano punite in maniera irragionevolmente differente. Infatti, l’intero apparato argomentativo si fonda sulla sproporzione interna tra entità del minimo sanzionatorio e possibile gravità delle condotte rientranti nel paradigma di cui all’art. 629 c.p.
Del resto, se le vecchie modifiche normative furono determinate dai coevi fenomeni di estorsione di stampo mafioso, l’attuale minimo edittale di cinque anni di reclusione appare inadeguato rispetto a quelle condotte estorsive che non appaiono caratterizzate da particolare gravità in ragione della occasionalità della loro realizzazione, della estemporaneità del proposito criminoso, della modica entità della somma pretesa, della scarsa incidenza della minaccia.
È proprio in ragione di questa possibile sproporzione interna che la Corte costituzionale ha ritenuto di dover introdurre, mediante una sentenza additiva, una «valvola di sicurezza», rappresentata da una circostanza attenuante dal contenuto analogo a quella prevista all’art. 311 c.p. per il sequestro di persona a scopo eversivo o terroristico e, a seguito della sentenza n. 68 del 2012, inserita anche nella fattispecie di sequestro di persona a scopo estorsivo.
Per il riconoscimento della lieve entità dell’estorsione assumeranno perciò rilevanza gli indici un tempo elaborati dalla giurisprudenza per la prima fattispecie citata, quali l’estemporaneità della condotta, la scarsità dell’offesa personale alla vittima, la esiguità delle somme estorte e l’assenza di profili organizzativi. Non sarà comunque possibile applicare la circostanza attenuante quando il fatto appaia non lieve su uno dei tre seguenti piani: l’evento di per sé considerato; la natura, la specie, i mezzi, le modalità e le circostanze della condotta; l’entità del danno o del pericolo conseguente al reato, avuto riguardo a tempi, luogo e modalità della condotta e all’ammontare delle somme pretese[3].
Il superamento da parte della sentenza ora annotata delle logiche rigide del ragionamento triadico della proporzionalità comparativa è reso evidente dal confronto della sentenza ora in esame, da un lato, e la 68 del 2012 e 244 del 2022, dall’altro lato, le quali sono entrambe richiamate dalla Corte costituzionale ai fini della valutazione di illegittimità costituzionale dell’art. 629 c.p.
La motivazione della sentenza n. 68 del 2012, avente ad oggetto l’introduzione nell’art. 630 c.p. di una circostanza attenuante di lieve entità sulla falsariga di quella prevista all’art. 311 c.p., si fonda prevalentemente sul raffronto comparativo tra la tacciata fattispecie di sequestro di persone a scopo estorsivo e quella di sequestro di persona a scopo eversivo o terroristico[4].
In tale occasione la Corte costituzionale si preoccupa di elencare le innumerevoli analogie esistenti tra i citati reati: la loro matrice storica, la condotta integrativa, la cornice edittale di pena, alcune ipotesi di circostanze, infine la disciplina circa il concorso eterogeneo di circostanze. Una sovrapponibilità strutturale non inficiata dalla diversità di bene giuridico tutelato, che anzi rafforza, secondo la Corte costituzionale, la necessaria estensione al sequestro di persona a scopo estorsivo, che offende il patrimonio, della circostanza attenuante della lieve entità prevista per quello a scopo eversivo o terroristico, che invece lede un bene giuridico, quello dell’ordine costituzionale, caratterizzato da una maggiore pregnanza.
Lo sforzo che il giudice delle leggi effettua nel rilevare la natura “gemella” delle fattispecie rende perciò evidente che l’asse portante dell’intera motivazione è rappresentato dalla ragionevolezza estrinseca e dal principio di uguaglianza.
Diversamente, nella sentenza n. 244 del 2022[5] è proprio l’assenza di un idoneo tertium comparationis a indurre la Corte costituzionale a incentrare l’apparato argomentativo sul principio di proporzionalità intrinseca.
Difatti, il giudice delle leggi ritiene non convincente la presunta sostanziale equiparabilità tra il sabotaggio comune di cui all’art. 253 c.p. e la fattispecie di sabotaggio militare. Ciononostante, la Corte costituzionale ha ritenuto che l’assenza di un’attenuante per lieve entità del fatto, quale «valvola di sicurezza», rendesse il trattamento sanzionatorio sproporzionato rispetto a tutti quei fatti che, pur non essendo gravi o connotati da particolare disvalore sociale, rientrerebbero comunque nella fattispecie di cui all’art. 167, comma 1, c.p.m.p., data «la tessitura semantica particolarmente lata delle espressioni utilizzate dal legislatore».
Così sintetizzati i percorsi motivazionali delle sentenze nn. 68 del 2012 e 244 del 2022, è evidente che le argomentazioni adottate nella sentenza n. 120 del 2023 richiamino più quelle relative al sabotaggio militare di lieve entità. Non a caso la Corte costituzionale utilizza il concetto di «valvola di sicurezza», contenuto nel secondo dei provvedimenti richiamati.
Del resto, se non si può dubitare del fatto che il sequestro di persona a scopo eversivo o terroristico costituisca un idoneo tertium comparationis rispetto al sequestro di persona a scopo estorsivo, non si può altrettanto pacificamente pervenire alla medesima conclusione nei rapporti tra quest’ultima fattispecie e quella di estorsione.
Infatti, diverso è il trattamento sanzionatorio, disomogeneo il regime delle circostanze, differente la disciplina del concorso tra aggravanti e attenuanti, parzialmente diversi i beni giuridici tutelati, diverso l’elemento del profitto, in un caso considerato evento del reato, nell’altro oggetto di dolo specifico.
Sarebbe apparsa perciò incongrua, in ragione di una impossibile sovrapponibilità tra le norme, l’adozione del rigido schema delle rime obbligate. Al contrario, ben più calzante al caso di specie è apparso il ragionamento delle rime adeguate.
In questa nuova prospettiva del principio di proporzionalità, però, il tertium comparationis non scompare, ma muta la propria natura: non più punto di partenza del ragionamento, ma di arrivo[6]. Non più metro di paragone della sproporzione, bensì limite all’intervento creativo della Corte costituzionale[7]. Non più una sovrapponibilità pressoché totale, ma un’adeguata somiglianza.
[1] Per altri commenti si veda E. Penco, Osservatorio della Corte costituzionale. Estorsione, in Diritto penale e processo, 7/2023, 881 ss.; G. Marino, Estorsione di lieve entità: pena troppo severa?, in Diritto & Giustizia, 109/2023, 10 ss.
[2] Per un esame della evoluzione del principio di proporzionalità nel corso degli anni, si rinvia a A. Pugiotto, Cambio di stagione nel controllo di costituzionalità sulla misura della pena, in Rivista italiana di diritto e procedura penale, 2/2019, 785 ss.; A. Macchia, Il controllo costituzionale di proporzionalità e ragionevolezza, in Cassazione penale, 1/2020, con particolare riferimento alle pagine 33 ss.; I. Grimaldi, Il principio di proporzionalità della pena nel disegno della Corte Costituzionale, in Giurisprudenza penale web, 5/2020; V. Manes, Proporzione senza geometrie, in Giurisprudenza costituzionale, 6/2016, 2105 ss.; P. Insolera, L’evoluzione del controllo di proporzionalità delle sanzioni penali nella giurisprudenza della Corte costituzionale, in Diritto di difesa, 1/2020, 320 ss.; R. Bartoli, Il sindacato di costituzionalità sulla pena tra ragionevolezza, rieducazione e proporzionalità, in Rivista italiana di diritto e procedura penale, 4/2022, 1441 ss.; Y. M. Citino, Il moto oscillatorio della Corte costituzionale in tema di proporzionalità della pena: notazioni minime alla sentenza n. 117 del 2021, in Rivista italiana di diritto e procedura penale, 3/2021, 1108 ss. Per un’analisi generale sul principio di proporzionalità si rinvia a C. F. Grosso-M. Pellissero-D. Petrini-P. Pisa, Manuale di diritto penale. Parte generale, Milano, 2023.
[3] Così argomenta in relazione alla lieve entità del fatto di cui all’art. 630 c.p. Cass. pen., Sez. I, n. 23185 del 2022.
[4] Per osservazioni alla sentenza si rinvia a M. Dova, La proporzionalità “intrinseca” della pena: il caso del sabotaggio di opere militari, in Giurisprudenza costituzionale, 6/2022, 2753 ss.; Y. M. Citino, Il moto, cit., 1114; A. Pugiotto, Cambio, cit., 791.
[5] Per un commento a tale pronuncia si rinvia a M. DOVA, La proporzionalità, cit., 2753 ss.
[6] In questi termini si esprime V. Manes, Proporzione, cit., 2110 s., secondo il quale la fattispecie comparativa non è più «starting point del vaglio di proporzionalità», bensì «termine ad quem».
[7] Non a caso la causa di un certo self restraint da parte della Corte costituzionale ad intervenire sulla pena è stata individuata, come affermato in R. Bartoli, Il sindacato, cit., 1442, nel riconoscimento al legislatore di una discrezionalità pressoché assoluta. In tal senso si rinvia sempre a V. Manes, Proporzione, cit., 2106 ss.
Sezione: Corte Costituzionale
(C. Cost., 15 giugno 2023, n. 120)
stralcio a cura di Annapia Biondi
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