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La condotta susseguente al reato che rileva ai fini del mancato riconoscimento della non punibilità ex art. 131-bis c.p. è quella che incide sull'offesa, aggravandola, mentre non rilevano comportamenti successivi che si limitino a manifestare la capacità a delinquere

Raffaella Di Lollo

Con la sentenza in esame, la Corte di Cassazione, VI sezione penale, ha svolto importanti considerazioni sulle novità apportate dalla Riforma Cartabia, all’istituto della non punibilità per particolare tenuità del fatto ex art. 131 bis c.p.

L’art. 1 co. 1 lett. c) n. 2 d.lgs. 150/2022 è intervenuto sull’art. 131 bis c.p. in tre diversi modi.

In primo luogo, l’ambito di applicazione dell’istituto è stato ampliato a tutti i reati per i quali è prevista la pena detentiva non superiore nel minimo a due anni, abbandonando così il parametro del massimo edittale di cinque anni previsto dalla previgente formulazione.

In secondo luogo, l’applicabilità dell’istituto è stata espressamente esclusa in relazione a determinati reati elencati all’art. 131 bis co. 3 c.p., in relazione ai quali opera, in sostanza, una presunzione ex lege di non tenuità dell’offesa.

In terzo luogo, è stata attribuita rilevanza, nell’ambito del giudizio sull’esiguità del fatto, alla condotta susseguente al reato.

Il riferimento alla condotta susseguente al reato, in quanto indice ampio, non impone alcun limite alla discrezionalità del Giudice che è tenuto, secondo quanto riportato nella Relazione illustrativa al d.lgs. 150/2022, a valutare le restituzioni, il risarcimento (anche parziale) del danno, le condotte riparatorie, l’accesso a programmi di giustizia riparativa, etc.

Per condotta susseguente al reato non devono perciò intendersi comportamenti successivi espressivi della capacità a delinquere del reo ex art. 133 co. 2 c.p., il cui riferimento non è neppure stato inserito nel novellato testo dell’art. 131 bis c.p.

Infatti, la Relazione illustrativa al d.lgs. 150/2022 chiarisce espressamente che il mancato riferimento, nel testo novellato della norma, all’art. 133 co. 2 c.p. è stata un’omissione intenzionale, avente quale scopo quello di non introdurre nella valutazione di particolare tenuità dell’offesa elementi che vengono propriamente presi in considerazione in sede di commisurazione della pena, quali indici da cui desumere la capacità a delinquere del reo. Segnatamente, «nel diverso contesto della causa di esclusione della punibilità di cui all’art. 131 bis c.p., la condotta susseguente al reato non viene in considerazione come indice della capacità a delinquere dell’agente, bensì, secondo l’intenzione della legge delega, quale criterio che, nell’ambito di una valutazione complessiva, può incidere sulla valutazione del grado dell’offesa al bene giuridico tutelato, concorrendo a delineare un’offesa di particolare tenuità»[1].

D’altronde, la previsione della causa di esclusione della punibilità ex art. 131 bis c.p. è incentrata sul dato della tenuità dell’offesa. Attribuire valenza alla capacità a delinquere dell’agente nell’ambito dell’art. 131 bis c.p. è fuorviante, in quanto trapianta valutazioni sulla personalità del reo su un istituto di natura oggettiva, snaturandone il fondamento con l’ulteriore precisione che ad ogni buon conto l’abitualità del comportamento è da valutare – come puntualizza la sentenza qui annotata – con esclusivo riferimento a fatti commessi prima di quello oggetto di scrutinio, e non anche a fatti successivi.

La sentenza in commento, al di là dei parametri predefiniti, sembra adottare una soluzione coerente con quanto previsto dalla Riforma Cartabia, scongiurando l’ipotesi che la capacità a delinquere del reo possa trovare ospitalità nell’ambito del giudizio sulla particolare tenuità del fatto, almeno fino al nuovo diktat della prossima Riforma già in fase di discussione parlamentare.

 

[1] Relazione illustrativa al decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, p. 345.

Argomento: Della non punibilità per particolare tenuità del fatto
Sezione: Sezione Semplice

(Cass. Pen., Sez. VI, 31 ottobre 2023, n. 43941)

Stralcio a cura di Antonio Picarella

“La Corte di appello di Bologna ha confermato la qualificazione giuridica del fatto nell'ipotesi lieve di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, ed ha escluso che la condotta potesse essere sussunta in quella di detenzione per uso personale e, pur valorizzando il dato quantitativo modesto (ca. 0,25 gr. di principio attivo), ha ritenuto che il frazionamento in cinque dosi; la disponibilità della somma di Euro 400 quale provento di spaccio pregresso, non avendone l'imputato dimostrato altra legittima provenienza, le circostanze e modalità del fatto (l'imputato, era stato controllato nel parcheggio di un supermercato mentre si trovava in compagnia di altri due connazionali, e, al momento del controllo, aveva lasciato cadere un pacchetto di sigarette nel quale si trovava lo stupefacente, suddiviso in cinque dosi), escludevano che l'imputato si trovasse nel luogo in cui era stato controllato per acquistare droga, destinata al consumo personale. La Corte di merito ha ritenuto non applicabile la causa di non punibilità di cui all'articolo 131-bis c.p. sottolineando la pericolosità, per la salute degli assuntori, della droga oggetto di spaccio e ha ritenuto che non si fosse in presenza di "attività eccezionale" avendo l'imputato diversi precedenti a suo carico per reati contro il patrimonio e di altro tipo, tali per cui si reputa che l'attività delinquenziale sia abituale, perlomeno per permettergli di procurarsi i mezzi di sussistenza essendo persona senza fissa dimora”(…) Nel giudizio della Corte di merito, valenza centrale, ai fini del diniego di applicazione della causa di non punibilità, ha assunto il requisito di abitualità della condotta illecita, giudizio espresso anche sulla base dei precedenti penali dell'imputato che, come rilevato dal difensore e come riscontrabile dal certificato penale agli atti del giudizio di appello, sono relativi a fatti successivi a quello per cui si procede. La valutazione della Corte di appello, nella parte in cui ha valorizzato tali condanne, si pone in contrasto con la giurisprudenza più risalente di questa Corte, secondo cui, ai fini dell'apprezzamento della condizione della non abitualità della condotta, non assumevano rilievo i comportamenti successivi alla commissione del reato (Sez. 3, n. 2216 del 22/11/2019, Anzaldi, Rv. 278391), poiché la disposizione di cui [continua ..]

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