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Come contestare l'autenticità di un testamento olografo: i vari orientamenti giurisprudenziali
Fabio Trolli
La Suprema Corte si pronuncia sull’impugnazione di un testamento olografo e, nel dar continuità all’orientamento delle Sezioni Unite (Cass., Sez. Un., 15 giugno 2015, n. 12307), che pretende un accertamento negativo, si sofferma su un particolare aspetto processuale. Il punto nodale della sentenza in esame è che l’affermazione per cui non spetterebbe «la rimessione in termini alla parte che, confidando in uno dei contrastanti orientamenti giurisprudenziali di legittimità, in ordine allo strumento processuale utilizzabile per contrastare l'autenticità di un testamento olografo si era limitata a disconoscere la conformità della copia prodotta all’originale (proprio come avvenuto nel caso in esame)».
I giudici escludono, nel caso in esame, che si ritrovino i presupposti del così detto perspective overruling, affermati dalla giurisprudenza a Sezioni Unite, per cui sarebbe da negare «l’operatività della preclusione o della decadenza derivante da un mutamento della propria precedente interpretazione di una norma processuale da parte del giudice della nomofilachia (cosiddetto overruling), nei confronti della parte che abbia confidato incolpevolmente (e cioè non oltre il momento di oggettiva conoscibilità della decisione che abbia invertito la precedente ricostruzione) in una consolidata precedente interpretazione della regola di rito, di tal che l’overruling si connoti del fisionomico carattere dell'imprevedibilità, per aver agito in modo inopinato e repentino su di un pacifico orientamento pregresso» (con riguardo alla Cass., Sez. Un., 11 luglio 2011, n. 15144, di recente ripresa, fra le tante, dalla Cass., 4 agosto 2022, n. 24256).
Merita solo ricordare che l’elaborazione attorno al rimedio in caso di mutamento repentino di una interpretazione di una norma processuale discenda dalla lettura dell’art. 153, secondo comma, cod. proc. civ., in merito alla rimessione in termini della parte che dimostra di essere incorsa in una decadenza per cause ad essa non imputabile, alla luce del principio racchiuso nell’art. 24 Cost., che riconosce il diritto di far valere e di difendere le proprie pretese in giudizio.
La pronuncia delle Sezioni Unite del 2011, poi seguita da quella in commento, suscita, invero, qualche perplessità. Si rende opportuno limitare l’indagine a due profili particolarmente delicati che caratterizzano l’istituto giurisprudenziale dell’overruling giurisprudenziale: il primo riguarda il significato di mutamento repentino nell’interpretazione della legge; il secondo ha a che vedere con il suo oggetto, che la giurisprudenza rinviene nella interpretazione di una norma processuale.
Merita anzitutto riprendere la nota pronuncia a Sezioni Unite, la quale ha affermato che la parte impugnante l’autenticità di un testamento olografo debba proporre domanda di accertamento negativo della provenienza della scrittura, gravando su di essa l’onere della relativa prova (Cass., Sez. Un., 15 giugno 2015, n. 12307). Le Sezioni Unite, in particolare, hanno ritenuto inadeguato, al fine di superare l’efficacia probatoria di un testamento olografo, sia il ricorso al disconoscimento che la proposizione di querela di falso: questi orientamenti, invero, erano sedimentati in giurisprudenza poiché, da una indagine retrospettiva, emergono numerose pronunce che aderivano alla tesi della necessità del disconoscimento di scrittura privata (Cass., 5 luglio 1979, n. 3849; Cass., 12 aprile 2005, n. 7475; Cass. 29 settembre 2014, n. 20484), sia quelle che sostenevano occorresse una querela di falso (Cass., 30 ottobre 2003, n. 16362, Cass., 24 maggio 2012, n. 8272).
La pronuncia della Cassazione a Sezioni Unite, invece, opta per quella che è stata definita una «terza via» interpretativa e aderisce a una risalente e isolata pronuncia che sostenne l’impugnabilità del testamento olografo con azione di accertamento negativo (Cass., 15 giugno 1951, n. 1545). Ebbene, senza indagare più a fondo il ragionamento condotto dalla Suprema Corte, è opportuno porre in luce che è arduo non notare un mutamento repentino nell’interpretazione della giurisprudenza, non fosse altro per i numerosi precedenti difformi e per l’adesione a una pronuncia risalente all’inizio degli anni ’50.
Passando al secondo profilo, è bene considerare che non sempre è chiaro quando vi sia un mutamento interpretativo che conduca a salvaguardare la posizione della parte, disapplicando una preclusione o una decadenza. Difatti, il rimedio invocato è senz’altro di natura processuale (ossia il tipo di azione si renda necessario per impugnare il testamento), ma va compreso quale cambiamento della giurisprudenza consolidata lo renda attuabile. La Cassazione a Sezioni Unite, nel 2011, riteneva che solo una diversa interpretazione delle regole di rito potesse configurare un overruling giurisprudenziale. Certo è che anche questo criterio non appare del tutto convincente. Oltre a fondate ragioni di carattere generale e di teoria del diritto, è opportuno limitare il discorso a quanto concerne l’impugnazione del testamento olografo.
A tal proposito, non è scontato ricordare che il Codice civile, quanto alla forma degli atti, risulti poco ordinato e che, leggendo le norme di legge, le prescrizioni di forma siano spesso contenute all’interno della disciplina organica degli stessi: si faccia l’esempio del matrimonio (art. 107 cod. civ.), del testamento (artt. 601 ss. cod. civ.), della donazione (artt. 782 ss. cod. civ.), del contratto in generale (art. 1350 ss. cod. civ.) e via dicendo. Invece, la documentazione in cui si concretizzano queste forme è rappresentata dalle norme, contenute nel Libro VI del Codice civile, che disciplinano la scrittura privata, semplice o con sottoscrizione autenticata, e l’atto pubblico, a cui si possono aggiungere, oggi, le prescrizioni sul documento informativo (D.lgs. n. 72 del 2005). Il complesso normativo ora descritto che richiede una interpretazione sistematica e lo dimostra solo il fatto che certi atti debbano essere documentati in forma pubblica affinché si dia loro una pubblicità legale (che ne costituisce titolo ai sensi dell’art. 2657 cod. civ.).
Già solo queste semplici considerazioni rivelano che nella disciplina degli artt. 2699 ss. cod. civ. convivano esigenze di prova, la cui raccolta è disciplinata nel Codice di rito, ed esigenze di manifestazione e pubblicità. La documentazione degli atti assume, pertanto, una valenza per così dire eclettica e capace di manifestare effetti su piani non coincidenti. L’azione giudiziale con cui si fa valere un vizio di documentazione (qual è il disconoscimento di scrittura privata o la querela di falso) determina effetti processuali e al contempo sostanziali: i primi discendono dalla capacità che quel documento possa fungere da prova all’interno del giudizio; i secondi, invece, rappresentano il valore sostanziale che assume quella documentazione. Esprimendo questo concetto con un esempio, un contratto falsificato non solo non comporta che vi sia alcun titolo per fondare una pretesa processuale alla condanna all’adempimento (aspetto probatorio), ma neppure consente di ritrovare un valido rapporto giuridico fra le parti (aspetto sostanziale).
D’altronde, si è accuratamente posto in luce che il diritto sostanziale non possa esistere senza la pretesa processuale e, viceversa, che il processo serva per dare soddisfazione alle situazioni giuridiche soggettive della persona. Né pare accettabile che il diritto di difesa possa essere garantito con maggiore intensità in caso di mutamenti interpretativi di norme processuali, rispetto a quelli sostanziali. Si pongono, infine, evidenti profili di disparità di trattamento.
Quanto esposto si rende ancora più evidente considerando la disciplina sulla forma del testamento olografo. Difatti, tenendo in conto la fondamentale necessità che le ultime volontà sopravvivano al loro autore, è arduo comprendere come possano tenersi distinti il piano sostanziale, circa la validità del testamento per rispetto delle forme legali, e quello processuale, in merito alla prova delle ultime volontà. La dottrina, in particolare, ha ricordato che, nel testamento, alla dimensione processuale si associa la valenza sostanziale. Si rende così palese la necessità di un giudizio complesso, che non sempre può trovare esaurimento nella sola valutazione documentale dell’atto, tipica dei procedimenti di verificazione e di querela di falso.
Ciò induce a due considerazioni: anzitutto, si conferma il pregio della sentenza della Corte di cassazione a Sezioni Unite che ha reputato necessario impugnare il testamento ritenuto falso con un’azione di accertamento negativo. In secondo luogo, si conforta il giudizio, sopra esposto, di inadeguatezza nel riconoscere il rimedio della rimessione in termini ai soli casi di mutamento repentino della giurisprudenza nell’interpretazione di norme processuali. Questa affermazione appare semplicistica e poco adatta a cogliere il sistema nella sua complessità.
A conclusione del discorso, una conferma di queste incertezze si può trarre dalla giurisprudenza che si è soffermata sull’assegno di divorzio. In particolare, si fa riferimento a un contrasto che è sorto nella Suprema Corte circa la possibilità di chiedere la rimessione in termini, ai sensi dell’art. 153 cod. civ., in merito ai noti orientamenti sull’accertamento dei presupposti dell’assegno divorzile. Si registrano, difatti, alcune pronunce che, a distanza di poco tempo l’una dall’altra, divergono proprio su questo aspetto: le sentenze che negano la possibilità di invocare un overruling si pongono in linea con l’insegnamento delle Sezioni Unite e affermano che verrebbe in rilievo un mutamento interpretativo di una norma sostanziale (l’art. 5, sesto comma, L. n. 898/1970), e non processuale (Cass. civ., 23 maggio 2022, n. 16604); di contro, quelle che lo ammettono, fanno leva sul diritto di difesa delle parti (Cass. civ., 23 aprile 2019, n. 11178).
Sezione: Sezione Semplice
(Cass. Civ., Sez. II, 14 giugno 2022, n.19092)
stralcio a cura di Giulia Solenni
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