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Quantificazione del danno in caso di morte del feto per errore medico

Fabrizio Cesareo

Cass. civ., Sez. III, 20 ottobre 2020, n. 22859

(…) Il Tribunale di Siena, con sentenza del 17 luglio 2013 rigettava la domanda tesa al risarcimento del danno patrimoniale e non, derivato dalla morte intrauterina del feto, rilevando che non erano emersi elementi di responsabilità dell’azienda convenuta. La Corte d’Appello di Firenze, pur richiamando la sentenza n. 12717 del 19 giugno 2015 della Corte di Cassazione, con riferimento al danno per perdita del rapporto parentale nel caso di figlio nato morto, avrebbe erroneamente inteso il principio affermato in sentenza. Secondo la citata decisione della Corte di Cassazione, in un caso in cui era stata assimilata la situazione del feto nato morto, a quella del decesso di un figlio, occorreva considerare che solo nel secondo caso era ipotizzabile il venir meno di una relazione affettiva concreta, sulla quale parametrare il risarcimento, nell’ambito della forbice di riferimento indicata nelle tabelle di Milano. Da ciò, invece, la Corte territoriale fiorentina avrebbe fatto discendere la possibilità di dimezzare i parametri minimi previsti dalle tabelle di Milano. Tale applicazione sarebbe contraria al criterio indicato dalla Corte di legittimità che lascerebbe intendere, invece, che la liquidazione del danno per un figlio nato morto dovrebbe comunque collocarsi all’interno della forbice stabilita dalle tabelle milanesi e cioè, al più, nel parametro minimo. Si denunzia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 l’omesso esame di fatti storici rilevanti ai fini della liquidazione del danno subito dai ricorrenti. La Corte territoriale non avrebbe valorizzato fatti incidenti sulla quantificazione del danno. In particolare, la circostanza che la gravidanza era stata portata a termine e che si trattava di una gravidanza preziosa, perché ottenuta tramite una fecondazione artificiale. La Corte territoriale ha applicato le tabelle del Tribunale di Milano utilizzate come punto di riferimento determinando l’importo riconosciuto nella misura pari alla metà del minimo in considerazione della circostanza che si trattava pacificamente di morte di un feto e non anche di un bambino (…). Nella stessa decisione si fa presente che, nel caso di “feto nato morto” “è ipotizzabile solo il venir meno di una relazione affettiva potenziale (che, cioè, avrebbe potuto instaurarsi, nella misura massima del rapporto genitore figlio, ma che è [continua ..]

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Nota di Fabrizio Cesareo

I giudici di Piazza Cavour con l’ordinanza in commento si sono soffermati sull’entità del risarcimento da riconoscere nel caso di feto nato morto imputabile a responsabilità medica. Atteso che l’eventus mortis della progenie è inequivocabilmente doloroso per i genitori, nel caso di specie occorre distinguere il danno subito dai genitori per la perdita di un figlio, inteso come soggetto concepito e nato, dal danno subito dalla coppia, i cui componenti sono in procinto di diventare genitori. Quest’ultimo è il punto su cui è tornata a pronunciarsi la Terza sezione civile, in considerazione del fatto che nel caso di feto morto ciò che viene meno è la potenziale relazione affettiva, non anche quella concreta, conseguente al decesso anteriore alla nascita, inducendo a ritenere verosimilmente esigua tale relazione in virtù della caratteristica assunta dalla persona perduta, cioè quella di “non nato”. Pare pacifica la definizione di nascita di un nuovo essere, intesa come distacco dal grembo materno del soggetto che emette il c.d. primo vagito e che respira naturalmente; il nuovo nato è quindi colui che risponde ai requisiti di vitalità, determinando un oggettivo rapporto con i suoi consanguinei. Viceversa, il concepito che venuto alla luce non respiri, assume la configurazione giuridica di nato morto. Ciò che emerge, perciò, è una chiara distinzione tra l’effettivo rapporto parentale e l’aspettativa allo stesso, qualificando indirettamente tale tipologia di danno come “meno importante”, vale a dire di minor spessore rispetto alla perdita di un rapporto ormai consolidatosi e fatto di quotidianità, frequentazioni, abitudini di vita [1]. Ordunque, relativamente alla liquidazione del danno non patrimoniale, la Cassazione ritiene corretta l’applicazione da parte della Corte territoriale delle tabelle milanesi riconoscendone la liquidazione in via equitativa, in virtù del fatto che queste assumerebbero valenza di parametro di conformità della valutazione equitativa del danno biologico ex artt. 1226 e 2056 c.c., salvo che non sussistano in concreto circostanze idonee a giustificarne l’abbandono [2]. Le tabelle di Milano prevedono, con riferimento ai vari possibili rapporti di parentela, una forbice che consente di tenere conto di tutte le circostanze del caso concreto, [continua ..]

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