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Abitazione in regime di comunione legale e godimento esclusivo da parte di un coniuge. L'indennità di occupazione non è automatica

Argomento: Della comunione
Sezione: Sezione Semplice

(Cass. Civ., Sez. II, 18 aprile 2023, n. 10264)

stralcio a cura di Giorgio Potenza

“Nel sistema della comunione del diritto di proprietà per quote ideali ciascun partecipante gode del bene comune in maniera diretta e promiscua, cioè come può purchè non ne alteri la destinazione e non impedisca l'esercizio delle pari facoltà di godimento che spettano agli altri comproprietari (art. 1102 c.c.). Allorchè per la natura del bene o per qualunque altra circostanza non sia possibile un godimento diretto tale da consentire a ciascun partecipante alla comunione di fare parimenti uso della cosa comune, i comproprietari possono deliberarne l'uso indiretto (a maggioranza o all'unanimità, secondo il tipo di uso deliberato: cfr. artt. 1105 e 1108 c.c.) [...] pur essendo pacifica nella giurisprudenza di questa Corte l'affermazione secondo cui il condividente che non tragga diretto godimento dal bene in comunione, possa chiedere la propria quota parte dei frutti del bene al condividente che invece ne abbia il concreto godimento, non appare condivisibile la decisione del giudice di secondo grado che ha ritenuto di riconoscere il diritto ad indennità della B.B. fin dal febbraio 2007, a far tempo dalla sentenza di separazione dei coniugi, […], in mancanza di una richiesta di rilascio del bene in favore della controricorrente ovvero di istanza di uso turnario del bene medesimo o di richiesta da parte della stessa di ricevere la quota parte dei frutti non goduti (pertanto, in mancanza di accertamenti circa le concrete richieste della condividente non beneficiaria del bene a ricevere siffatti frutti). Infatti, dalla sentenza impugnata si ricava che l'oggetto di comunione è l'abitazione coniugale e dunque una cosa per definizione idonea a produrre frutti civili, di cui il A.A. ne ha goduto in via esclusiva. Sulla base di tali premesse di fatto, la Corte d'appello ha falsamente applicato (invece delle norme sulla comunione) l'art. 1148 c.c., che disciplina il caso, affatto diverso, della sorte dei frutti naturali o civili percepiti dal possessore di buona fede il quale debba restituire la cosa al rivendicante. Tale norma regola l'attribuzione dei frutti nel conflitto esterno tra possessore in buona fede e proprietario, e dunque non può operare per disciplinare il diverso problema della ripartizione interna fra più comproprietari dei frutti ritratti o ritraibili dalla cosa comune”.  

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