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Danno da emotrasfusione: termini entro cui richiedere il risarcimento e criteri di quantificazione del danno non patrimoniale
Cecilia De Luca
Con l’ordinanza in commento la suprema Corte di cassazione affronta la questione relativa alla prescrizione dell’azione volta ad ottenere il risarcimento dei danni derivanti dall’attività di emotrasfusione e dei criteri da adottare per la loro risarcibilità.
Il caso in commento trae origine dal giudizio instaurato dagli eredi del defunto, i quali convenivano in giudizio il Ministero della Salute per sentirlo condannare al risarcimento dei danni loro derivanti, iure hereditatis e iure proprio, dalla emotrasfusione subita dal soggetto, poi venuto a mancare, in occasione di una operazione chirurgica, dalla quale gli era derivato il contagio da epatite C che successivamente lo aveva portato alla morte.
Il Tribunale adito dichiarava prescritto il diritto al risarcimento del danno proposto dagli attori iure hereditatis e rigettava nel merito la domanda ritenendo che né i figli né la moglie avessero provato, e neppure chiesto di provare, il rapporto di convivenza con il defunto.
Gli attori hanno, così, proposto appello deducendo che la malattia era rimasta latente per tutto il periodo di vita del congiunto, il quale, anche a causa del poco elevato livello di istruzione, non avrebbe potuto sapere che il virus circolava anche attraverso il sangue infetto e non sarebbe stato in grado di ricollegare l’insorgere della malattia alle trasfusioni eseguite.
La Corte d’appello di Lecce ha riformato in parte la sentenza di primo grado, riconoscendo agli eredi il diritto al risarcimento del danno iure proprio, indicando il dies a quo della prescrizione nel giorno della morte del congiunto, mentre riteneva prescritto il diritto al risarcimento del danno sofferto dal de cuius e trasmesso agli eredi iure successionis.
Avverso tale decisione è stato proposto ricorso per cassazione dagli eredi, articolato in quattro motivi, due dei quali assumono rilievo in questa sede.
Relativamente all’eccezione di prescrizione, accolta dalla Corte d’appello di Lecce, è stata sollevata la doglianza sul fatto che il giudice di secondo grado avrebbe fondato l’eccezione su fatti diversi rispetto a quelli rappresentati da parte dello stesso Ministero convenuto a fondamento della sua eccezione, senza sollecitare il contraddittorio sul punto.
In particolare, la Corte d’appello, confermando la prescrizione del diritto del cuius, la quale secondo il giudice di primo grado decorre da quando la malattia, ossia l’epatite C, è stata diagnosticata per la prima volta, ha spostato in avanti di cinque anni la decorrenza iniziale del termine prescrizionale, ancorandola al secondo certificato medico con il quale vennero diagnosticati gli aggravamenti che portarono il congiunto alla morte.
Per quanto concerne la prescrizione ed il suo decorso relativamente al “danno da emotrasfusioni”, le patologie derivanti da contagio post-trasfusionale hanno la caratteristica di manifestarsi, nella maggioranza dei casi, dopo lungo tempo dalla data del fatto illecito generatore del danno.
Per questo si parla di danni lungolatenti.
Dal combinato disposto dell’art. 2935 c.c., espressione del consolidato principio actio nondum nata non praescribitur, e dell’art. 2947, terzo comma, c.c. la Cassazione è giunta alla conclusione che qualora non sia conoscibile la causa del contagio la prescrizione non può iniziare a decorrere, poiché la malattia, sofferta come tragica fatalità non imputabile ad un terzo, non è idonea in sé a concretizzare il “fatto” che l’art. 2947, primo comma, c.c. individua come esordio della prescrizione, formulando il seguente principio di diritto.
In tema di emotrasfusioni, il termine della prescrizione del diritto al risarcimento del danno di chi assume di aver contratto per contagio una malattia per fatto doloso o colposo di un terzo decorre, non dal giorno in cui il terzo determina la modificazione che produce il danno altrui o dal momento in cui la malattia si manifesta all’esterno, ma dal momento in cui viene percepita o può essere percepita, quale danno ingiusto conseguente al comportamento doloso o colposo di un terzo, usando l’ordinaria oggettiva diligenza e tenuto conto della diffusione delle conoscente scientifiche.
Nel concreto appare comunque complesso stabilire da quando inizi a decorrere la prescrizione. Seppure di regola il dies a quo coincide con la proposizione di domanda di indennizzo sul presupposto che il danneggiato in tale momento ha avuto un sufficiente grado di consapevolezza dell’illiceità del danno subito essendosi attivato per chiedere un indennizzo, tuttavia non è sempre così, data la diversità di presupposti tra la tutela assistenziale, ove si prescinde dall’elemento soggettivo della colpa o del dolo, e quella risarcitoria ove si richiede invece la presenza di tali elementi per potersi affermare la sussistenza dell’illecito aquiliano. In quest’ultimo caso, per poter far valere il suo diritto, ex art. 2935 c.c., il soggetto, usando l’ordinaria diligenza, dovrà necessariamente essere a conoscenza di tutti gli elementi della fattispecie e quindi, in particolare, dell’esistenza di una condotta illecita colposa commessa da terzi.
Tale momento non coincide sempre ed automaticamente con il deposito della domanda di indennizzo, potendo invece emergere antecedentemente, ma anche in seguito, ed in particolare nel corso dell’istruttoria compiuta nel giudizio volto alla concessione dell’indennizzo di cui alla l. 25 febbraio 1992, n. 210. Durante tale fase viene di regola acquisita la documentazione riguardante i donatori implicati nelle trasfusioni di sangue de quibus, cosiddetto look back, al fine di verificare lo stato di salute degli stessi, previa tracciabilità delle unità trasfuse al danneggiato.
La tracciabilità del sangue è uno degli elementi fondanti il giudizio di colpa dell’amministrazione sanitaria, perché consente la verifica del sangue trasfuso con riguardo alla sua provenienza, ai controlli e misure di cautela di fatto attuati.
Pertanto, laddove emergesse la mancanza di tracciabilità o l’assenza di controlli o la mancata attuazione di misure di cautela esigibili secondo la normativa dell’epoca, ne deriverebbe la responsabilità colposa della struttura sanitaria ove fu effettuata la trasfusione di sangue al paziente.
Ne consegue che la scoperta di tali elementi coincide con il primo “giorno in cui il diritto può essere fatto valere”, ossia, con il momento iniziale di decorrenza del termine di prescrizione, secondo quanto previsto dall’art. 2935 c.c.
Si tratta, dunque, di un’indagine da effettuarsi caso per caso, sulla base degli elementi offerti in causa dalle parti, ma anche delle rispettive allegazioni contestazioni, che dovranno essere valutate dal giudice nel rispetto dei distinti oneri probatori gravanti sull’attore e sul convento che ha formulato l’eccezione.
Come affermato in giurisprudenza, l’indennizzo, che ha natura giuridica diversa rispetto al risarcimento del danno, ben può essere stato richiesto quale misura solidaristica ed indennitaria di sostegno, non essendo necessario allegare la conoscenza di tutti gli elementi dell’illecito lamentato ed in particolare del nesso causale tra le trasfusioni e la malattia che insorge. Se quindi, di norma, è sostenibile che la proposizione della domanda volta al riconoscimento del suddetto indennizzo comporta conoscenza o conoscibilità, in capo al danneggiato, del nesso causale tra la malattia insorta e la pregressa trasfusione, nel caso di specie è legittimo dubitare che il danneggiato avesse la piena consapevolezza di ciò, ben potendo ritenere solo la mera possibilità di tale nesso causale, bastevole per la domanda di indennizzo, ma insufficiente per intraprendere un’azione giudiziaria fondata sull’art. 2043 c.c. e, quindi, sul ben più gravoso onere della prova a carico del danneggiato circa l’esistenza del nesso causale tra le trasfusioni e la malattia insorta.
Nel caso di morte della vittima, causata dal contagio, la Cassazione è solita distinguere tra il danno chiesto iure hereditatis, soggetto alla prescrizione quinquennale, e quello chiesto dai congiunti iure proprio, il cui termine è decennale.
In caso di decesso del danneggiato a causa del contagio, la prescrizione rimane quinquennale per il danno subito da quel soggetto in vita, del quale il congiunto chieda il risarcimento iure hereditatis, trattandosi pur sempre di una danno da lesione colposa, reato a prescrizione quinquennale, alla data del fatto, mentre la prescrizione è decennale per il danno subito dai congiunti della vittima iure proprio, in quanto, per tale aspetto, il decesso del congiunto emotrasfuso integra omicidio colposo, reato a prescrizione decennale, alla data del fatto.
Sulla base di tali argomentazioni la Cassazione accoglie il quarto motivo di ricorso.
Mentre per quanto concerne la doglianza relativa alla necessaria applicazione delle tabelle milanesi per il risarcimento del danno derivante dalla perdita del rapporto parentale, è necessario osservare che esse costituiscono il valore da ritenersi equo, cioè il parametro in linea generale attestante la conformità della valutazione equitativa del danno alle disposizioni di cui agli artt. 1226 c.c. e 2056, primo comma, c.c., ossia quello in grado di garantire la parità di trattamento e da applicare in tutti i casi in cui la fattispecie concreta non presenti circostanze idonee ad alimentarne o ridurne l’entità.
Infatti, il pregiudizio conseguente a contagio infettivo può altresì colpire i familiari della vittima, i quali possono chiedere il risarcimento del danno da essi direttamente subito, danno che va liquidato ex art. 1226 c.c.
Inoltre, le stesse tabelle milanesi fanno espresso riferimento al risarcimento del danno non patrimoniale per la morte del congiunto.
In conclusione, il termine prescrizionale per “danno da emotrasfusione” inizia a decorrere, ex artt. 2935 e 2947, primo comma, c.c. dal giorno in cui la malattia viene percepita o può essere percepita quale danno ingiusto conseguente al comportamento del terzo, usando l’ordinaria diligenza e tenendo conto della diffusione delle conoscenze scientifiche.
In materia di danno da perdita del rapporto parentale, derivante dall’attività di emotrasfusione, è possibile, e per certi aspetti necessaria, l’applicazione dei criteri di liquidazione del danno non patrimoniale pervisti dalle tabelle milanesi affinché si garantisca il carattere equo della valutazione compiuta dal giudice.
Sezione: Sezione Semplice
(Cass. Civ., Sez. III, 9 giugno 2023, n. 16468)
stralcio a cura di Giovanni Pagano
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