Argomento:
Responsabilità ente da reato (d.lgs. n. 231/2001)Sezione:
Sentenze di Merito
(Tribunale di Milano, II Sez. Pen., 20 aprile 2024, n. 1070)
Stralcio a cura di Fabio Coppola
“(…) L'ultimo capo di imputazione vede coinvolta la società richiamando gli artt. 5 e 25 del d.lgs. 231/2001 perché, secondo l’impianto accusatorio, (…) dal 2011 al 2016 aveva adottato un modello di organizzazione e gestione e controllo carente nella misura in cui lo stesso era privo di un'analisi del rischio-reato, nonché sprovvisto dei reali presidi di controllo interno idonei a prevenire la commissione dei delitti di false comunicazioni sociali di cui ai capi precedenti.
Accennando brevemente alla normativa di riferimento ed in particolare agli artt. 5, 6 e 7 d.lgs. 231/2001, essi non contengono alcuna indicazione sul contenuto di un modello idoneo a prevenire il rischio-reato.
Infatti l'art. 5 menziona il criterio di imputazione del reato all'ente in presenza di reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio da persone che rivestono funzioni di rappresentanza, amministrazione o direzione dell'ente nonché da persone a queste ultime sottoposte. Gli artt. 6 e 7 del medesimo decreto distinguono il criterio di imputazione del rischio reato a seconda che l'illecito sia stato commesso da un soggetto apicale o piuttosto da un sottoposto. In quest'ultimo caso l'ente risponde se la commissione del reato è resa possibile dall'inosservanza degli obblighi di direzione o vigilanza.
Più complesso, invece, è il criterio di imputazione soggettiva laddove il reato sia attribuibile a un apicale, dal momento che, come è noto, l'ente non risponde se prova che: a) l'organo dirigente ha adottato o efficacemente attuato, prima della commissione del fatto, modelli di organizzazione e gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi; b) il compito di vigilare sul funzionamento e l'osservanza dei modelli di curare il loro aggiornamento è stato affidato a un organismo dell'ente dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo; c) le persone hanno commesso il reato eludendo fraudolentemente i modelli di organizzazione e di gestione; d) non vi stata omessa o insufficiente vigilanza da parte dell'Organismo di vigilanza (da ora OdV).
Come è facilmente intuibile le norme sono tutto sommato povere di indicazioni in ordine ai contenuti del modello di organizzazione, gestione e controllo del rischio reato. Anche il riferimento ai Codici di comportamento (o linee guida) elaborati dalle associazioni di categoria e spesso evocati nei modelli adottati negli anni [continua ..]
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