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Revocatoria dell'atto con cui è stato costituito in fondo patrimoniale un bene della comunione legale ed esecuzione forzata di tale bene per debito di uno solo dei coniugi

Fabiola Giarmoleo

N.***  agiva in giudizio contro il proprio debitore e la moglie davanti al Tribunale di Lecce, domandando la revocatoria dell’atto con cui essi costituivano in fondo patrimoniale un immobile in comunione legale. Il Tribunale accoglieva la domanda dichiarando inefficace il fondo patrimoniale nei confronti di parte attrice limitatamente alla quota di immobile del debitore - escludendo quella della moglie. Il creditore avviava l’esecuzione in base alla sentenza definitiva e il Giudice dell’esecuzione ne disponeva l’estensione alla quota della sig.ra D.D.A.G. che presentava opposizione: la procedura si concludeva con sentenza che accoglieva l’opposizione. Parte soccombente impugnava la sentenza e la Corte d’Appello di Lecce confermava l’impignorabilità del bene perché parte del fondo patrimoniale ex art. 170 c.c.

N.*** proponeva ricorso per Cassazione sostenendo che la Corte d’Appello avrebbe: errato nel ritenere inefficace il fondo patrimoniale, solo per la quota del debitore sig. R.C.; omesso di considerare che «col conferimento del bene in fondo patrimoniale, la comunione legale su tale cespite si trasforma in comunione semplice»; infine, avrebbe mal interpretato l’art. 170 c.c.

Quindi, partendo dalla Sent. n. 9536/2023 della Terza Sezione della Suprema Corte, questa nota vuole fornire spunti di riflessione su alcune questioni: la natura della comunione legale; il rapporto tra comunione legale, fondo patrimoniale e azione revocatoria.

Circa la prima questione, ricordiamo che il Prof. Salvatore Pugliatti qualificava la comunione come «situazione che costituisce una specificazione della titolarità di una situazione soggettiva caratterizzata dalla pluralità dei soggetti di fronte all'unità della situazione stessa» (Pugliatti S., La proprietà nel nuovo diritto, Milano, 1954, 157). Si tratta di uno degli istituti maggiormente studiati dalla dottrina civilistica che lo distingue in base al rapporto dei comunisti col bene – comunione pro quota e non; al contenuto della comunione; ai soggetti coinvolti; al modo di costituzione, gestione e scioglimento. Di fatto, il nostro codice civile disciplina diversi tipi di comunione –«comunione legale» (artt. 177 e ss.), «comunione ereditaria» (artt. 713 e ss.), «comunione ordinaria» (artt. 1100 e ss. c.c.), «condominio» (artt. 1117-1139 c.c.) … - riconducibili a due macrocategorie: la comunione romanistica – ove si ritiene coesistano «una pluralità di diritti di proprietà» aventi ad oggetto delle vere e proprie quote di cui il singolo comunista è titolare; e quella germanica (detta «Gemeinschaft zur Gesammten Hand» o «a mani riunite») – in cui tali quote non sussistono e i comunisti, per via di particolari legami intercorrenti tra loro, si ritengono titolari dell’intero cespite soggetto a comunione (Palazzo A., Comunione, Digesto on-line, 1988). In generale, la disciplina dei diversi regimi di comunione esistenti in Italia è basata sulla comunione ordinaria (artt. 1100 e ss. c.c.): una forma di comunione romanistica che subisce delle deroghe in presenza di forme di comunione germanica.

La sentenza in commento, quindi, riprende proprio il tema della natura giuridica «comunione legale» (regime patrimoniale legale della famiglia) che la dottrina ha considerato in diverso modo: soggetto di diritto autonomo rispetto ai comunisti; patrimonio di destinazione; comunione «pro quota»; comunione «a mani riunite». Coloro che consideravano la comunione legale come una forma di comunione pro quota si appellavano agli artt. 189, c. 2, 194 e 210 c.c. e concludevano che si trattasse di una «[…] comunione per quote speciale. Speciale, perché – diversamente dalla normale comunione per quote – non si può disporre della quota durante la comunione […]» (Caringella, Manuale ragionato di diritto civile, 2022, Cercola, cit. 1744). Tuttavia, secondo la dottrina maggioritaria, la Consulta (Sent. n. 311/1988) e la Cassazione (oltre alla pronuncia in esame: Cass. Civ., Sez. II, Sent. n. 14093/2010; Cass. Civ., Sez. III, Ord. n. 1647/2023) sono ormai concordi nel considerare la comunione legale un esempio di comunione germanica poiché essa, riconoscendo a ciascun coniuge un diritto avente ad oggetto la totalità dei beni e non la singola quota, sposa la ratio e il favor communionis tipici del matrimonio e della famiglia (Caringella, op. cit. 1742-1751). Ecco, quindi, il primo degli errori commessi dal Tribunale di Lecce: ritenere la comunione legale come una comunione di matrice romanistica.

Necessario, poi, appare il coordinamento tra discipline. L’actio pauliana – che può essere ordinaria (artt. 2901 e ss. c.c.) o fallimentare (artt. 163-171 del CCII) – consente al creditore di far dichiarare inefficace (nei suoi confronti) un atto del debitore, lesivo dei suoi interessi creditizi. È un’azione conservativo-cautelare cui dovrà seguire una procedura esecutiva perché si ottenga effettiva tutela. I presupposti dell’azione – oltre alla sussistenza di un diritto di credito che non deve essere certo, liquido ed esigibile (Cass. Civ., Sez. II, Sent. n. 12235/2011) – sono: un atto dispositivo del debitore; un danno alla garanzia generica del creditore; la consapevolezza del debitore (o eventualmente del terzo) di arrecare un danno al creditore (Caringella, op. cit., 444-458). Circa l’ambito di applicazione dell’azione pauliana, la Cassazione è stata più volte interpellata per chiarire se essa potesse avere o meno ad oggetto l’atto con cui viene costituito un fondo patrimoniale: questione che si può dire positivamente risolta dalla giurisprudenza di legittimità. Di fatti, la sentenza in commento riporta i principi che dovrebbero guidare la revocatoria di un atto costituente in fondo patrimoniale un bene soggetto a comunione legale: il bene deve essere aggredito per intero; il coniuge non debitore diviene soggetto passivo della procedura di espropriazione come quello debitore e titolare degli stessi diritti e doveri; il bene staggito deve essere assegnato o venduto interamente e il coniuge non debitore acquisisce il diritto a ricevere la metà della somma lorda ottenuta dalla alienazione/assegnazione del bene (Cass. Civ., Sez. III, Sent. n. 6575/2013). Inoltre, la costituzione in fondo patrimoniale di un bene oggetto di comunione legale, non è atto di disposizione né causa di scioglimento della comunione (ex art. 191 c.c.): pertanto, rimanendo inalterato il regime della comunione legale ed essendo esso caratterizzato dall’assenza di quote, l’azione revocatoria dovrà essere necessariamente indirizzata nei confronti di ambedue i coniugi «e, in quanto preordinata all'espropriazione forzata del medesimo cespite (necessariamente da compiersi per l'intero), essa è diretta ad una pronuncia d'inefficacia dell'atto complessivo e non limitata alla inesistente quota pari alla sola metà del bene» (Cass. Civ., Sez. III, Sent. 9536/2023). Così è chiarita anche la questione del considerare o meno litisconsorte necessario il coniuge non debitore: a fronte di un orientamento minoritario che intendeva il coniuge non debitore come litisconsorte facoltativo (Cass. Civ., Sez. III, Sent. n. 11582/2005), l’orientamento maggioritario ritiene che «[…] per ottenere la dichiarazione di inefficacia dell'atto di costituzione del fondo patrimoniale stipulato da entrambi i coniugi stessi, è litisconsorte necessario il coniuge non debitore […]» (Cass. Civile, Sez. III, Sent. n. 2711/2024; Cass. Civ., Sez. III, Ord. n. 19319/2023).

Accertati questi errori e il giudicato, la Cassazione rigetta anche il secondo motivo e, avvalendosi dell’art. 384 c.p.c., fornisce l’esegesi da attribuire alla sentenza di prime cure: il giudicato legittima un’azione esecutiva limitata dal punto di vista soggettivo, e non oggettivo, al solo coniuge-debitore. Un’interpretazione che sembra spostare il focus della questione dal piano oggettivo a quello soggettivo, lasciando inalterate le conseguenze negative di una pronuncia che, pur non essendo vincolata a seguire i precedenti giurisprudenziali esistenti, avrebbe potuto considerarli senza discostarsene così nettamente. L’utilizzo dell’art. 384 c.p.c. offre anche l’occasione di accennare alla Sent. n. 5633/2022 con cui le SS.UU., a seguito dell’Ord. di rimessione n. 12944/2021 della Sez. Lavoro, hanno risolto un contrasto giurisprudenziale relativo al modo di intendere il titolo esecutivo definitivo in sede di legittimità: esse, aderendo alla ricostruzione del rimettente, qualificano, per la prima volta, il titolo esecutivo «come strumento di adeguamento dello stato di fatto allo stato di diritto» e, quindi, interpretabile dal giudice di legittimità quale regula iuris alla stregua non dell’art. 360, c.1, n. 3 c.p.c. ma ex art. 2909 c.c. (De Carolis, Interpretazione del titolo esecutivo - Il vaglio in Cassazione …, in Giurisprudenza Italiana, n. 3/2023).

Contrariamente a quanto affermato dalla Corte d’Appello, la Cassazione afferma che «l'art. 170 c.c. non sancisce affatto l'assoluta impignorabilità dei beni in fondo patrimoniale […]». Il fondo patrimoniale è, secondo la giurisprudenza di legittimità maggioritaria, un atto a titolo gratuito (Cass. Civ., Sez. III, Sent. n. 24757/2011; Cass. Civile, Sez. III, Sent.. 2711/2024) con cui, per volontà di uno/entrambi i coniugi o una/entrambe le parti di unione civile o un terzo, vengono destinati uno o più beni (immobili, mobili registrati o titoli di credito e i rispettivi frutti) al soddisfacimento dei bisogni della famiglia. Il concetto di “bisogni della famiglia” deve intendersi in senso ampio e include le necessità della famiglia e tutto ciò che è funzionale al suo sviluppo (Cass. Civ., Sez. I, Sent. n. 11683/2001). Sebbene il fondo patrimoniale abbia come obiettivo la tutela della famiglia, i beni che lo costituiscono non sono assolutamente impignorabili ma relativamente: essi possono essere pignorati dal creditore nel caso in cui il credito sia sorto per soddisfare esigenze familiari; contrariamente, se il debitore esecutato riesce a provare che il credito sia sorto per far fronte a bisogni estranei alla famiglia e che il creditore fosse consapevole di questa estraneità, i beni costituenti il fondo non potranno essere pignorati. La Corte di Cassazione, in definitiva, costretta a rigettare i primi due motivi, accoglie il terzo e rimette la questione alla Corte d’Appello di Lecce e, con la speranza che questa segua quanto più possibile i precedenti esistenti in materia, si evidenzia la necessità che sia l’opponente a fornire la prova dell’elemento oggettivo e soggettivo di cui all’art. 170 c.c., così da scongiurare qualunque uso fraudolento del fondo da parte del debitore.

Argomento: Delle persone e della famiglia
Sezione: Sezione Semplice

(Cass. Civ., Sez. III, 7 aprile 2023, n. 9536)

stralcio a cura di Giorgio Potenza

“5. Nella giurisprudenza di legittimità si è costantemente affermato che "la comunione legale tra coniugi è una comunione senza quote" (o "a mani riunite") […] 6. Per quanto concerne l'espropriazione forzata, a risolvere un acceso contrasto nelle prassi degli uffici giudiziari (e, conseguentemente, in dottrina e nella giurisprudenza di merito) è intervenuta Cass., Sez. 3, Sentenza n. 6575 del 14/03/2013, Rv. 625462-01, la quale ha statuito che "La natura di comunione senza quote della comunione legale dei coniugi comporta che l'espropriazione, per crediti personali di uno solo dei coniugi, di un bene (o di più beni) in comunione abbia ad oggetto il bene nella sua interezza e non per la metà, con scioglimento della comunione legale limitatamente al bene staggito all'atto della sua vendita od assegnazione e diritto del coniuge non debitore alla metà della somma lorda ricavata dalla vendita del bene stesso o del valore di questo, in caso di assegnazione" […] 9. Proprio la sua strumentalità rispetto all'esercizio dell'azione esecutiva impone di ritenere che - qualora l'atto pregiudizievole abbia riguardato un bene ancora assoggettato alla comunione legale, come nel caso di sua costituzione in fondo patrimoniale - al giudizio di revocatoria debbano necessariamente partecipare, come litisconsorti necessari, entrambi i coniugi (in proposito, Cass., Sez. 6-3, Ordinanza n. 5768 del 22/02/2022, Rv. 664077-01, Cass., Sez. 3, Sentenza n. 19330 del 03/08/2017, Rv. 645489-01, Cass., Sez. 3, Sentenza n. 21494 del 18/10/2011, Rv. 620535-01) e che la domanda di inefficacia dell'atto e la corrispondente pronuncia di accoglimento debbano riguardare l'intero bene e non soltanto una sua (inesistente) quota. […] 12. Si deve dunque affermare che la domanda di revocatoria dell'atto con cui è stato costituito in fondo patrimoniale un bene della comunione legale va rivolta (notificata ed eventualmente trascritta ex art. 2652, comma 1, n. 5, c.c.) nei confronti di entrambi i coniugi (ancorchè solo uno di essi sia debitore) e, in quanto preordinata all'espropriazione forzata del medesimo cespite (necessariamente da compiersi per l' intero), essa è diretta ad una pronuncia d' inefficacia dell'atto complessivo e non limitata alla inesistente quota pari alla sola metà del bene. […] La decisione impugnata muove evidentemente da un presupposto errato e, cioè, [continua ..]

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